Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

Un suono «infinito e indeterminabile e indivisibile» In alcuni passaggi dello Zibaldone Leopardi riflette attorno all'assenza delle vocali nella lingua ebraica. Le osservazioni muovono da un «frivolo sogno», come Leopardi stesso definisce l'investigazione delle origini: la ricerca, per comparazione e genealogia di etimi, di un'unità (e semplicità) originaria delle lingue, poi soggette a dispersione, trasmigrazione, divisione. Scrutare tra i «primi ed oscurissimi incunaboli della società», indagare «nella caligine, anzi nel buio de' tempi», interrogare la «lingua bambina», ancora priva di leggi e di forme, immaginare la perduta «favella fluttuante»; l'impresa ha bisogno di uno schermo, appunto il «frivolo sogno». Di fatto l'interrogazione leopardiana, mentre consegna alla metafisica le romantiche filosofie della lingua, traccia un confine mobile dove la filologia incontra la «favola antica», l'erudizione conduce alla domanda sull'origine. Quando Leopardi ricostruisce, con sottili comparativi passaggi, la parentela del latino sylva col greco UAlJ e con l'ebraico ,711;:,, (hiiuli), è la disciplina etimologica ad esser piegata verso il «frivolo sogno» d'un prima della civiltà, d'una perduta lingua prima. Il sogno attiene all'immaginazione d'una parola che la scrittura non ci restituisce, d'una pronuncia per sempre perduta: 226 Benché le vocali sieno i primi suoni che l'uomo pronunzia, (anzi pure la bestia) e il fondamento di tutta e di tutte le favelle, certo è per altro, chi le considera acutamente, ch'elle sono suoni più sottili, dirò così più spirituali, più difficili a separarsi dal resto de' suoni, di quello che sieno le consonanti. Noi chiamiamo così queste ultime, perch'elle non si reggono da sé, ed hanno bisogno delle vocali, ed i greci le chiamavano similmente oul)cpwva quasi convocali. Questo ci par che dovesse menare per mano al ritrovamen-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==