Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

ivre. Niente assomiglia tanto all'ispiraziòne quanto la gioia con la quale il bambino assorbe la forma e il colore... A questa curiosità profonda e gioiosa bisogna attribuire l'occhio fisso, ed estatico come un animale, dei bambini davanti al nuovo. Così il fliìneur è caricato di connotazioni posteriori (baudelairianamente anteriori) altrove riscontrate nelle passeggiate incantate di un fliìneur secondo, di un fliìneur senza metafisica, senza contenuto: libero dal pensiero, alleggerito dal peso di dover essere, in un'indeterminatezza d'infanzia è il fliìneur walseriano, il fliìneur della seconda generazione. È suo soprattutto il godimento della macchina: «una sensazione sana nelle gambe, nelle braccia e nel petto.» L'automazione della felicità è il tratto saliente, con il palpitare felice delle vene, di quei «quadri meccanici» dove il pastore suona e i bambini dondolano... L'assurdo è nel lato macchina: nello smembramento dell'unità del corpo per l'insediarsi delle parti della felicità: la felicità cade a pezzi, cioè sui pezzi: è un affare di particolari. Già una volta parlando del soggetto che si salva portandosi a una tenuta minima, di un fliìneur delle piccole voluttà, avevamo considerato la suggestione e l'importanza di una scrittura del "particolare", che ora possiamo riconsiderare come scrittura della felicità: una scrittura che investe il frammento, e solo sul frammento insiste con la sua opera pulsante. È un po' bizzarra quest'insistenza perché dove tocca si può dire che «snatura». Se tocca il paesaggio sembra che tutto sia sperso o addirittura fatto di latta e di ferro, se tocca le persone le trascina fuori quadro. I cortili con la neve e gli alberi di Jakob van Gunten, sono prodotti della macchina di città; la signora Tebrick si trasforma in volpe per dar sfogo alla sua selvaggia felicità, nel ro220

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