passeggiata nel labirinto di Parigi, come un'uscita dopo un giorno di spleen. Allora questo stato d'animo di catastrofe permanente si scioglie, si allontana e resta indietro - lo leggiamo in quel monumento al frammento che è Parigi, capitale del XIX secolo - insieme allo spleen il soggetto trascendentale della storia.(«Nello spleen chi giace nella tomba è il 'soggetto trascendentale' della storia»). Ma allora qual è lo stato d'animo di chi abbandona lo scuro coperchio che pesa sul cervello, ed esce nel libero movimento della città? E chi è quest'uomo che va per strada senza soggetto trascendentale, rimasto a casa con lo spleen? Qualcosa di assurdo per la felicità viene fuori. Povero flaneur, l'assurdo di questa felicità è lui. Basta continuare per le pagine di quel gran libro dei «passages», per trovarlo immerso in un'ebbrezza anamnestica, non dissimile dagli effetti dell'hascisch: Al flàneur felice palpitano le vene e il cuore batte come un orologio(...) avviene come in uno di quei 'quadri meccanici' che nel XIX secolo(e certamente anche prima) erano molto amati, e in cui vediamo in primo piano un pastore che suona il flauto, accanto a lui due bambini che si dondolano a tempo... Senza spleen e senza metafisica il flaneur va verso un passato che è tanto più ammaliante in quanto non è il suo - ma è pur sempre il tempo di un'infanzia - per esempio la storia delle facciate delle case, dei quartieri, i vecchi libri, gli oggetti da ritrovare fuori dall'insieme, dentro quel singolare percorso che è la quotidiana invenzione di un labirinto dentro la città. Questo piccolo mostro meccanico di avidità e di felicità è il bambino che Baudelaire descrive nell'Art romantique: Il bambino vede tutto come novità; è sempre 219
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