Ogni cosa mi si frazionava, e ogni parte ancora in altre parti, e nulla più si lasciava imbrigliare in un concetto. Una per una, le parole fluttuavano intorno a me; diventavano occhi, che mi fissavano e nei quali io a mia volta dovevo appuntare lo sguardo. Sono vortici, che a guardarli io sprofondo con un senso di capogiro, che turbinano senza sosta, e oltre i quali si approda nel vuoto. In un clima diverso da questo di Hofrnannsthal, in una sua «lettera a un giovane poeta», Virginia Woolf risponde - è il Natale del '22 - a Gerald Brenan che la invitava a rinunciare a scrivere romanzi dicendole che poteva fare di meglio, risponde ammettendo che forse si dovrebbe rinunciare a una visione del mondo, ma certo non si può rinunciare a far agire dei personaggi dando loro impatto e volume. Al di là di questa difesa della signora Brown, di cui anche recentemente si è occupata Ursula Le Guin, Virginia Woolf si situa proprio a quella svolta della storia, che è caduta sulla sua generazione, per parlare di frammenti; Ma a che cosa dunque bisogna rinunciare? E lei dovrebbe rinunciare al romanzo? 216 Ah, allora sono perduta! In realtà penso che tutti noi lo siamo. Non è possibile ora, né lo sarà mai, dire: io rinuncio. Né sarebbe bene per la letteratura che fosse possibile. Questa generazione deve rompersi l'osso del collo per aprire la via alla prossima. Perché sono d'accordo con te che noi non realizzeremo nulla. Frammenti - paragrafi - forse una pagina, nient'altro. Joyce mi sembra cosparso di disastri. (...) Lo considero solo un valoroso tentativo: per il resto le solite schegge e frantumi (l'ho letto solo in parte una volta).(...) I migliori fra noi colgono di scorcio un naso, una spalla, qualcosa che si sottrae, sempre in movimento. (...)
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