Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

scrittore in effetti non è né di esprimere né di mascherare il suo io, ma di metterlo al riparo, cioè di premunirlo e di alloggiarlo.» E a questo provvede la funzione del codice. Il punto è che il codice della scrittura diaristica è intrinsecamente penalizzante per quel suo «io» che apparentemente deve farla da padrone. Esso dice: l'«io» che parla qui ha solo la consistenza della cornice - dell'alloggio - che riesce a crearsi. Da cui l'andatura tipica, fatta per accumulazioni di descrizioni sovrapposte, di ripetizioni, di aggiustamenti temporali, di nuove partenze a ogni unità diarizzata, di continue certificazioni di presenza dell'«io», e insomma di tutto quanto è necessario a sostenere il movimento di interruzione, riapertura del discorso a diversa data. Su questo lato scomodo e turbolento dell'«io» diaristico siamo nel dominio del silenzio, almeno come rischio implicito a ogni interruzione. Poichè la norma è il frammento. Tutto ciò è già indicato in 1984 quando è detto che quel monologo che da anni abitava Winston si è improvvisamente prosciugato nel momento di incominciare a metterlo per iscritto. Ancora prima di incominciare la pagina resta bianca, e l'«io» muto. Questo è il lato moderno: il lato innanzitutto romantico del diario, che ha soprattutto sviluppato l'aspetto frammento come fulminea espressione dello spirito, e poi il lato «novecento» che, sempre all'insegna del frammento, ha fatto del diario un magazzino di possibilità, un laboratorio, e qualche volta un non-finito. Su questo fronte del moderno c'è un gusto diverso, un gusto per la varietà dei materiali, un approccio più che da diario intimo, da reportage: il resoconto di un viaggio, la notazione di un'esperienza di droga, il diario di guerra; e poi i diari degli scrittori. La loro officina: un misto di schizzi, primi abbozzi e medaglioni; e poi il diario sul farsi della scrittura, la vita dello scrivente attaccato al bozzolo del lavoro, alla ripresa delle letture, allo 214

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