Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

espressive. Risorse che abbiamo a volta a volta chiamato: struttura complessa, ruota degli sguardi presi fra copertura e svelamento, attesa di una scoperta, luogo di un'investigazione, sentimentalismo, ricerca della coscienza, incontro con il desiderio. Sulla via di questa lettura il diario è lo spazio privilegiato di un'investigazione: 1) della parola che dica; 2) del corpo dell'autore e del luogo e delle relazioni in cui scrive; 3) del pensiero e del sentimento che deve essere detto. In questa ottica il diario può essere considerato un luogo critico - Blanchot parla di una trappola -il luogo di un'instabilità turbolenta: infatti l'io se supera un muro di resistenza, e aggira la pretesa e l'abbaglio di un'assoluta vicinanza alla sua pagina, accede a una cornice «narratologica» ridotta, dove si trova a campeggiare nell'attualizzazione di tutti gli shifter di luogo e di tempo. Io qui e adesso. Con questo il diario segnerebbe il livello di massimo «embrayage», massima vicinanza al luogo dell'enunciazione. Se non fosse per quell'instabilità turbolenta che tramuta questo eden dell'«io» in uno specchio oscuro, in qualcosa che non è un semplice rovescio, un allontanamento dal luogo dell'enunciazione (spostamento che indica un effetto strutturale e mai un riferimento di valore, che sarebbe insensato, tipo: più vicino è meglio) ma piuttosto un grado di afasia, una sospensione della possibilità di dire «io». Basta ricordare quanto osserva Barthes sull'istituirsi della scrittura con la decisione di dire «egli». Il passaggio all'«io» è successivo, è un passaggio a un grado superiore di indiretto, e questo perchè chi scrive «io» non ricorre al simbolo indice di Jakobson, non occupa cioè la semplice funzione linguistica del parlante che dice «io», ma ricorre a un contrassegno sottilmente codificato. Siamo nella letteratura, cioè nel dominio dell'indiretto, del secondo - anzi del terzo - grado. «Il problema per lo 213

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