vamente nel tempo, sull'amore, sul matrimonio, sulla gravidanza e sul sesso, per costruire le sue «teorie», tenere i suoi discorsi, esprimere riluttanza· e aspettativa. Un'aspettativa che alla fine agli occhi del lettore non si soddisfa perchè il diario è interrotto su degli avvenimenti esterni che comunque sospendono la ricerca, e lasciano l'impressione che non possa in qualche modo che arrestarsi lì. Sulla via di questa investigazione il diario si presenta da sempre come uno spazio privilegiato. Fin da quando i puritani dovevano tenere un diario per avere davanti a sé il quadro dei loro progressi interiori. I più fanatici, specialmente nelle colonie americane, tenevano addirittura il resoconto matematico dei progressi spirituali: per loro ogni azione aveva un valore numerico da sommare o da sottrarre all'ammontare globale. Su questa tradizione Pamela, eroina puritana, tiene il diario per liberarsi della colpa di piacere e a testimonianza della propria integrità morale ne invia delle pagine ai genitori. Si tratta di un romanzo in cui Richardson scrive in forma diaristico-epistolare le disavventure della virtù alla fine premiata (contro quel senti�entalismo dominante reagirà Sade). Pamela si rifugia nel suo closet, il suo boudoir, dove l'uomo che la corteggia e l'insidia non può entrare. Ma può pensarla, portandosi dietro la coda dei lettori: così Pamela nel closet si mette a scrivere ciò che lui, e tutti i lettori, vorrebbero vedere. È il congegno «del narratore attraverso il buco della serratura»: al lettore viene mostrata un'intimità, un luogo dove la cosa che cerca è inseguita più che raggiunta; così che alla fine la scrittura gli consente un'esperienza vicaria, un movimento come un giro di sguardi proibiti che porta non all'intimità femminile e al suo corpo, ma al piccolo buco della serratura che inquadra esattamente una penna che scorre sui fogli. Nonostante la differenza di clima e di struttura dei 210
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