In chiusura di un Tombeau mallarmeano, quello dedicato a Verlaine, alcuni versi sfiorano (forse) l'aporia di cui si è occupata questa nota: Verlaine? Il est caché parmi l'herbe, Verlaine a ne surprendre que nai:vement d'accorci la lèvre sans y boire ou tarir son haleine un peu profond ruisseau calomnié la mort se il non esaurirsi o seccarsi del fiato, della lena abbia qualcosa a che fare con quanto abbozzato, e anche la mort, ruscello peu profond (la profondità della poesia è la sua superficie, come ci è stato garantito...) Nell'ultima pagina di Analisi terminabile e interminabile Freud, con un tour d'adresse che sentivamo venire di lontano, scopre la chiave interpretativa per ciò che riguarda la fine: la «roccia basilare» della castrazione. Se l'analisi non finisce, non si conclude, dice Freud, è perché la resistenza (rifiuto della femminilità) «non consente che si produca alcun mutamento», tutto rimane così com'era 13. Parallelamente, ma in opposizione, si può immaginare che la scrittura risulti interminabile perché tende di continuo al suo termine ma il suo termine è sempre altrove: fenomeno di appagamento di desiderio «asintotico»I4_ C'è, per quanto attiene al problema della scrittura, qualche cosa che possa essere avvicinata, sia pure metaforicamente, alla «roccia basilare» dell'enunciato freudiano? Mi limito a porre la domanda, riservandomi perfino di decidere se sia proponibile. Il testo poetico si mette, l'ho già detto, sotto il segno dell'inadeguatezza - anche se il termine vada inteso in modo ben diverso da quello corrente. Contro la vulgata, il linguaggio poetico non è un linguaggio giusto, perché ciò implicherebbe l'idea di una conformità strumentale a qualcosa di dato, di 205
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==