Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

bilità, la scrittura dà indizio di terminare, come credo di capire, al muro dell'impossibile - del reale, della morte. Converrà accogliere questa convitata al discorso, senza aureolarla di nessun patetismo indebito. Nello scrivere operano due postulazioni che possono trascriversi nella coppia philia/neikos, che proprio Freud impresta da Empedocle. Se ciò che ho chiamato «necessità della scrittura» è la sua pulsione erotica, essa trova l'arresto in una simmetrica pulsione di morte. Forse ogni scrittura tende, come ultimo desiderio, ad entropizzarsi. Aspirazione al limite, il cui risvolto è l'interminabile (o come si voglia chiamarlo). L'ultima pagina della Coscienza di Zeno introduce bruscamente la «catastrofe inaudita», l' «esplosione enorme» che ridurrà la Terra a una nebulosa. Straordinaria lisi - averla concepita e collocata proprio in quel punto testimonia, se occorresse, del genio narrativo sveviano - tuttavia più apparente che reale; scioglie un nodo per rifarne un altro. Anche la catastrofe è una scrittura, che prolunga la scrittura del romanzo. 8. Le approssimazioni successive se non a risolverla, servono a far ruotare la questione cioè a consentire di contornarla - che è già qualcosa. Il testo poetico è linguaggio: ma questo linguaggio è adeguato ad adempiere alle sue operazioni? Qui finisce per annidarsi il dilemma o falso dilemma del terminabile/interminabile. Il non-terminabile si potrebbe pure enunciare così: ogni segmento di scrittura produce un'eccedenza, un «in più», che non permette di chiudere il conto. Il linguaggio è un sistema: per uscirne non c'è che l'eccedenza, quale residuo del sistema stesso. Del resto a volte si può sospettare che il linguaggio poetico arrivi a dire ciò che gli sfugge. 204

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