la chiamo dovere militare, l'istinto lo chiamo orgoglio militare». Sicché appare, a sua volta, un artificio retorico il dichiarare, come troviamo più volte, il suo atteggiamento come «retorico»; anzi, specificamente, come una «retorica patriottarda e militaresca»; un artificio volto a ribadire la riconferma di quel «fuoco sbagliato» (nuovo artificio!) che lo aveva sollecitato a chiedere l'arruolamento come volontario - e non solo a rifiutare i privilegi inerenti al suo stato di studente universitario. A ulteriore cagione dell' «impossibilità» del suo diario di guerra, Gadda adduce, infine, la discrepanza, e persino contraddizione, tra l'elevatezza, o, reciprocamente, drammaticità delle contingenze esterne o interiori, e la necessità di soggiacere alle «banali miserie», di soddisfare - e traendone piacere - ai più elementari bisogni. «Ho dunque annotato nel mio quaderno anche le banali miserie: alle giornate, per me atroci, del1'ottobre '17, quelle che furono come la caduta del mio vivere in una disperata e vana sopravvivenza, il mio giornale registra un buon bagno dei piedi fra le sopravvenienti angosce e la muta ottusità delle nebbie: finalmente avevo trovato un paio di gavette d'acqua35 • E, poche righe dopo: Vigili angosce dominarono la mia guerra, nonostante il bere, il mangiare, il concupire vananiente e il ristoro de' pediluvi. Questa, infatti, del mangiare e del bere è una nota costante dei gaddiani diari di guerra: e non solo nella parte dedicata alla prigionia che in vari luoghi lo scrittore ricorda per esservi stato costretto a nutrirsi «avidamente» di «bucce delle patate» scovate nelle «immon182
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