che meglio esprime la sensazione che avevo di vivere immersa così totalmente nell'atmosfera di lei, da non distaccarmi mai abbastanza da vederla come una persona...Lei era il mondo intero»". « ...mia madre costituì per me un'ossessione fino ai quarantaquatt!:"o anni. Poi un giorno mentre attraversavo Tavistock Square...pensai Gita al Faro: con grande, apparentemente involontaria urgenza...scrissi il libro molto rapidamente; e quando l'ebbi scritto, smisi di essere ossessionata da mia madre. Non odo più la sua voce; non la vedo. Probabilmente feci a me stessa quello che gli psicoanalisti fanno ai loro pazienti. Diedi espressione a qualche emozione antica e profonda. Ed esprimendola ne trovai la spiegazione e la potei riporre placata»". In effetti Gita al Faro è un'analisi acutissima del suo rapporto con la madre. Virginia potè capire che non era la madre reale, morta quando lei era adolescente, a provocare la sua nostalgia estrema. Era la madre dell'inizio della sua vita, quella con la quale lei era vissuta in simbiosi. Nella quale era vissuta immersa in uno stato di fusione che per lei aveva rappresentato la beatitudine, e che non aveva mai voluto e potuto completamente lasciare, se non quel tanto che le permettesse di sopravvivere. Questo il primo ricordo della sua infanzia: «...l'impressione delle· onde e della nappa della tenda; la sensazione...di stare in un acino d'uva e di vedere attraverso un velo di giallo semitrasparente»14 • 287
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