autobiografia monadologica, se è consentita un'immagine «occidentale», o di confessione abdita. Per questo potrebbe essere riduttivo - come faremo più sotto riferendoci a una delle sue opere più importanti, il Fotuhat• - ricavare dalle opere di Ibn 'Arabi, o dalla sua vita, qualche estratto di cui egli racconta esplicitamente di sé. A Cordova Averroè, amico di suo padre, volle incontrare l'adolescente Ibn 'Arabi, e alla fine rimase pallido e tremante: aveva chiesto al giovane se l'ispirazione divina potesse confermare la riflessione speculativa, e questi gli rispose di sì e di nd, aggiungendo che infatti è proprio fra il sì e il no che gli spiriti prendono ìl volo fuori della materia. E così Averroè si ricordò anche che il giovane, presentandosi, gli aveva detto un sì e un no - il sì per fargli piacere, e il no per non dare troppa fiducia a quel piacere. Si tratta di una teofania, dice Ibn 'Arabi, che si ripete anche nel secondo incontro con Averroè avvenuto questa volta in un'estasi del mistico murciano. Il grande filosofo era talmente immerso in una meditazione (razionale), che non si avvide che Ibn 'Arabi lo stava guardando. Questi, lungi dal pensare che, trattandosi di una visione, Averroè non poteva a sua volta vederlo, e convinto, al contrario, che nella visione vi sia una duplice direzione dello sguardo, rimane teneramente sconsolato per il distacco dimostrato da Averroè, rapito da una meditazione inessenziale, quella filosofica, e comprende che le loro strade divergono. Il terzo ed ultimo incontro con Averroè è quello in cui emerge con maggiore evidenza il fatto che gli effetti logici vertiginosi, numerosissimi in Ibn 'Arabi, di sguardi rovesciati, giochi di coincidenze interno-esterno, epifanie transstoriche, sono dedotti da un apriorismo non solo del pensiero, ma anche biologico, più che biografico. L'incontro avviene nel 1198, ai funerali d'Averroè, il cor244
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