Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica 42 aprile/giugno 1984 Sergio Pinzi Gianfranco Gabetta Giovanni Cacciavillani Valerìa Giordano Luciano Amodio Silvana Borutti Gabriele Frasca POESIE Cesare Viviani Ermanno Krumm Lucio Klobas NOTES MAGICO Laura Conti MINUTE Giampaolo Sasso Giorgio Maragliano RUBRICA 5 9 25 37 58 79 100 117 121 130 150 159 176 185 Il v.olto delle parole La seduzione della mitologia. Wittgenstein e F•reud Intersezioni: Levinas e il discorso del volto Narciso e il , gioco del rispecchiamento. L'immagine riflessa tra identità e differenza Per lo sviluppo della struttura dei concetti storici da Kant a Hegel Wittgenstein ,e le figure del silenzio Edifici nel fuoco: inclinatio, fortuna, ratio Quattro poesie Questo tuo altro tu Momento vuoto Diario ,di lavoro La Magdeleine di T. Kemeny Allegoria ed enigma in W. Benjamin
Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica direttore responsabile: Sergio Finzi comitato di redazione: Contardo Calligaris, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghlsi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mario Spinella, Italo Viola. a questo numero hanno collaborato: Francesca Alfano Miglietti, Luciano Amodio, Silvana Borutti, Marisa Bulgheroni, Giovanni Cacciavillani, Roberto Carifi, Paola Colaiacomo, Laura Conti, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghlsi, Gabriele Frasca, Gianfranco Gabetta, Valeria Giordano, Giuliano Gramigna, Lucio Klobas, Ermanno Krumm, Giorgio Maragliano, Giampaolo Sasso, Mario Spinella, Italo Viola. redazione: Galleria Strasburgo 3, Milano, tel. 790517-795557 abbonamento annuo 1984: (4 fascicoli) lire 25.000, estero lire 30.000 e.e. postale 11639705 intestato a edizioni Dedalo spa, cas. post. 362, 70100 Bari Registrazione: n. 472 del 7.5.74 del Tribunale di Bari Fotocomposizione e stampa: Dedalo litostampa spa, Bari
Il piccolo Hans Revue trimesi trelle d'analyse matérialiste Directeur: Sergio Finzi Rédaction: C. Oalligaris, S. Finzi, V. Finzi Ghisi, G. Gramigna, E. Krumm, M. Spinella, I. Viola Abonement 1 an {1984): 4 numéros: lire 30.000 Edizioni Dedalo spa, casella postale 362, 70100 Bari
Il volto delle parole « Quando gli adulti nominavano qualche oggetto, e, proferendo quella voce, facevano un gesto verso qualcosa, li osservavo, e ritenevo che la cosa si chiamasse con il nome che proferivano quando volevano indicarla. Che zlntendessero ciò era reso manifesto dai gesti del corpo, linguaggio naturale di ogni gente: dall'espressione del volto e dal cenno degli occhi, dalle movenze del corpo e dall'accento della voce, che indica le emozioni che proviamo quando ricerchiamo, possediamo, rigettiamo o fug, giamo le cose. Così, udendo spesso le stesse parole ricorrere al posto approprvato, in proposizioni differenti, mi rendevo conto, poco a poco, di quali cose esse fossero i segni , e, avendo insegnato alla lingua a pronunziarle, esprimevo ormai con esse la mia volontà )). Con questa citazione di S. Agostino si aprono le Rke11che filosofiche di Wittgenstein, che ritorna in due saggi, sul Piccolo Hans a fornire iJl preludio a quella svolta ulteriore che il lavoro dei miei << seminari >) sta compiendo e che troverà le sue formulazioni nei prossimi numeri della riviJsta. Preludio, ho detto. Insieme richiamo a un'indagine già compiuta, e indicazione di una tendenza. Ecco riunite tutte le parole che sono insieme il segnale, il ricordo, l'attesa, la sorpresa, l'emozione, e l'oggetto stesso: come lo 5
studio Si-lhouettes si richiamava a Wittgenstein, e la funzione stessa che ho definito per la psicoanalisi di quel richiamo, di; quella sorpresa improvvisa, dell'apparizione di una forma rappresentata da un disegno, un profilo, un contorno che si staglia preciso, in un momento dell'analisi e nella costituzione del soggetto. A rappresentarmi quel nesso tra linguaggio naturale e le azioni primitive - fuggire, sorprendere, afferrare - di cui parla Darwin, e del rapporto di questo nesso, che ho messo in luce nel seminario di quest'anno, con l'angoscia. Nella triade suggerita, Wittgenstein, Darwin, Freud, come l'interesse di Wittgenstein per la psicoanalisi non sta certo in quello che lui dice di Freud, ma in come, io psicoanalista, posso leggere Wittgenstein., così nel 1926, dopo la Metapsicologia e Al di là del principio del piace:t1e, una figura appare sullo sfondo di Inibizione, sintomo e angoscia, senza essere mai citata, ma, mi sembra, indispensabile ad essere individuata se si vuole provare a formulare, a partire da un'opera anche non perfetta come è questa di Freud, una teoria dell'angoscia. Anche questa figura è un richiamo e una tendenza: ripropone i desiJderi giovanili di Freud, fugacemente riapparsi nell'InteI1p:t1etazione dei sogni a far da chiave con il motivo dell'« erbario», e diviene, nel 1926 un'indicazione di sviluppi possibili. È la figura del Naturalista. In filigrana, anche se mai esplicitato, allo studio sull'angoscia, « sedimento di antiche esperienze traumatiche», è il nome di Darwim. Ciò a cui stiamo per approdare è che l'angoscia non è una trasformazione automatica della libido repressa, ma qualcosa legato all'indicare e all'intendere. Intendere, tendance di Hyppolythe Taine. Il poeta Hopkins che ci parla di « mettere a nudo i nervi e i muscoli del linguaggio ». Darwin che ci parla di una scienza divenuta abbastanza << familiare » da essere « poetica». Wittgenstein che indugia su questa familiarità 6
delle parole, legate all'espressione del volto, alle movenze del corpo. Darwin che ci presenta le emozioni e le espressioni come i ,residui di azioni passate. Ed ecco vl movimento, l'azione, « le funzioni ma - dice Freud - in quanto si perdono», e quindi nel loro rapporto all'inibizione, arrivare a rappresentare dei sintomi, qualcosa che rappresenta, dislocato in altro tempo e in altro luogo, qualcosa di passato, anch'essi, appunto, residui, come Freud li definisce. E l'angoscia? Che scopriremo di essa? Sergio Finzi 7
Tieni capovolto i] disegno di un viso e non potrai riconoscere l'espressione del viso. Forse potrai vedere che sorride, ma certamente non potrai sapere esattamente in che modo sorrida. Non puoi imitare il sorriso, o descrivere piu esattamente il suo carattere. E tuttavia può darsi che l'immagine capovolta sia una rappresen _tazione estremamente accurata del volto di un uomo. La figura a) Q è il rivolto della figura b) O . Cosi come la figura c) �� è il rivolto della figura d) �ea ma tra la mia impressione di c) e la mia impressione di d) c'è, per cosf dire, una differenza diversa da quella che c'è tra l'impressione di a) e quella di b). Per esempio, d) sembra piu ordinata di e). (Confronta un'osservazione di Lewis Carroll.) d) è facile da copiare, e) difficile. . Da Ludwig Wittgenstein Ricerche filosofiche Torino, Einaudi, 1967
La seduzione della mitologia. Wittgenstein e Freud En vérité, il y a tant de mythes en nous et si familiers qu'il est presque impossible de séparer nettement de notre esprit quelque chose qui n'en soit point. On ne peut meme en parler sans mythifier encore, et ne fais-je point dans cet instant le mythe du mythe pou.r répondre a,u caprice d'un mythe? P. Valéry Non è facile decifrare ,l'inoidenza reale di Freud nel paesaggio delle influenze intellettuali subite da Wittgenstein (un paesaggio, peraltro, che lui stesso ci ha descritto) 1 : non perché Wittgens1'ein sia , reticente o poco espLicito al rigua!'do, ma perché i termini in cui viene esprimendo, di volta in volta, critiche o debiti nei confronti di F , reud appaiono apertamente contraddittori o segretamente conflittuali. Non mi propongo qui di dissipare ,queste ambiguità, ma di radicalizzarle: per far emergere la densità di un rapporto che non ammette di essere assimilato, per effeHo di lectio facilior, a un confronto puramente epistemologico (magari ispirato alla fotogenica caricatura di Freud che - negli stessi anni delle Conversazion� wittg , ensteiniane con Rhees - veniva tratteggiando Popper). 1. Forti ambivalenze segnano già il primo impatto di . Wittgenstein col testo di Freud. Una viva ammirazione, che si tradurrà con l'andare degli anni nell'ammissione di esserne un « allievo » e in una ,sorta di culto intellettuale dell'affinità 2 • Ma anche un'altrettanta intensa (e più argomentata) diffidenza sullo statuto logico dell'analisi: la macchina concettuale di Freud funziona infatti, a giudizio di Wittgenstein, grazie al potere di « un'immagine. 9
che ha per noi un'attrattiva particolare» (LC 92). Un'immagine che ha l'effetto di polarizzare le credenze attorno a un nucleo inattaocabile, cui viene concesso credito anche a presc indere da qualsiasi fundamentum in re. Quanto essa esprime, «Freud non lo stabilisce riferendosi al1'evidenza - perché non potrebbe farlo. Ma è un'idea che esercita una forte attrazione. Ha l'attrattiva delle spiegazioni mitologiche, per cui tutto è una ripetizione di qualche cosa accaduta prima. E per coloro che l'accettano o l'adottano, molte cose sembrano più chiare e più facili» (LC 126). Vietando risolutamente interpretazioni alternative, le immagini analitiohe vanno incontro a una esigenza profonda - a un bisogno di trasparenza che si esprime nella ricerca di una «parola risolutiva». Tale è, appunto, l'«attrattiva di una mitologia»: il fascino di una convenzione irresistibile che pone le premesse per l'irrinunciabilità di un assenso, reprimendo ogni fonte di autoriflessione critica. I vari fenomeni di «falso riconoscimento» così diffusi in analisi vengono interpretati da Wittgenstein come effetto di quel potere di attrazione, che attenua 1e differenze e sbiadisce le eventuali evidenze avverse. L'eHetto che eroga l'analisi non è quindi leggibile in termini di «scienza»: essa non genera scoperta, ma persuasione (LC 94). Le critiche di Wittgenstein a Freud si incentrano sullo smontaggio di questo dispositivo di seduzione, coi suoi effetti perversi che rinforzano appal'enti «evidenze» e perpetuano la tentazione della mitologia. Un'urgenza di univocità vi sacrifica le incongruenze e le dissonanze al fascino di un'immagine. Ne siamo attratti come dalla dinamica dell'agnizione: l'allentarsi della tensione, la catar, si prodotta da una scoperta che si risolve in un semplice, inatteso riconoscimento. La mitologia non prevede infatti conoscenza che non sia ·riconoscimento, ricordo, riaffiorare di evidenze in qualche modo originarie. «'Fenomeno originario ' (Urphanomen) è, per esempio, quello 10
che Freud crede va di riconoscere nei ,semplici sogni di desiderio. Il fenomeno originario è un'idea preconcetta che si impossessa di noi » (OC 83). Spossessamento, artificio, seduzione: modalità di costituzione e di incidenza dell'immagine nello spazio dell'analisi come «mitologia». « Qualcosa ci induce a ,dir,e 'Sì, certo, dev'essere così'. Una mitologia che ha molto potere » (LC 140). 2. « Oocorre esercitare una critica severa, acuta, continua, per riconosoer,e e guardare attraverso la mitologia che ci viene offerta o imposta »: una perversa endogamia teorica fagocita infatti le ambiguità che possano alterare la visione aocreditata dalla mitologia. Seguendo Freud, il sogno viene catturato in una , rete concettuale che può anche riusc ire euristicamente feconda, ma finisce per ren &� s�re �&�ili����� a�«� idea gravida di sviluppi possibili » 3 • Adoperandosi per «neutralizzare l'effetto fuorviante di oerte analogie » ( ,LB/LM 41), Wittgenstein si richiama invece a un atteggiamento antiriduzionistioo affine a quello che si richiede per avvertire la pluralità dei giochi, dei linguaggi (LC 133-4). Ma la polemica di Wittgenstein non assume né una curvatura puramente metodologica , né la forma di un elogio della complessità. Cerca invece di affrontare criticamente il dispositivo di seduzione della mitologia, risalendo alle radic i della sua ,tentazione - sterrando i presupposti e cercando di smontare gli effetti del suo potere. Perché « la tendenza a pensare che ci debba essere ' un motivo unico ' per le azioni degli uomini è ' enormemente forte e diffusa ' » (M 349)? ,Da cosa trae origine la ,sua irresistibilità? Come si spiega l'urgenza di eludere le perplessità attraverso il filtro dell'immagine? È attraverso questi interrogativi che Freud ,si configura a Wittgenstein come un problema. Anche i suoi rilievi più esplicitamente critici non presuppongono infatti né un'assun-. 11
zione previa sul metodo scientificamente corretto, né un appello alla discussione razionale come salutare fonte di liberalizzazione. Differentemente da Popper, Wittgenstein non si ritiene in possesso di alcun criterio di demarcazione tra ,scienza e metafisica, e non privilegia in alcun modo l'approccio per prove ed errori di una « razionalità critica». Lo scontro con Freud presuppone invece un'attrazione, la decostruzione propone il compito di una genealogia: il problema reale, cioè il disagio prodotto in Wittgenstein ,dalla pratica di Freud, che ne suscita una « ammirazione' perturbata '»4, sembra aver a che f.are con le « ragioni » della mitologia. E come « il disagio estetico ha un' perché', non una' causa '» (LC 75), questo disagio di Wittgenstein non è precisamente individuabile o imputabile a una ragione metodologica, ma solo chiaribile - addentrandosi nelle pratiche e nei cerimoniali da cui è suscitato. Da dove trae dunque la sua persuasivi , tà il rituale di riduzione a ragione della mitologia? E perché il suo dispositivo fa perno su immagini, tanto influenti che sembra impossibile liberarsene? 3. Forse non è un caso che i percorsi di Freud e Wittgenstein vengano incrociandosi proprio in rema di mitologia, attraverso il comune confronto critico con Frazer. Per Wittgenstein è un significativo banco di prova della critica al riduzionismo: cercando di applicare una esplicazione lineare ai riti etnologici mediante il ricorso a una monocmde eziologia dell'errore, Frazer cerca in sostanza di renderli plausibili ai detentori del suo sistema ideologico di riferimento. Contro l'esiguità anche immaginativa di questa operazione, Wittgenstein tratteggia un metodo di « antropologia ,speculativa» o « etnologia fantastica» imperniato •su esperimenti mentali che non intendo no dissolvere le forme di vita in individuazioni immaginarie, ma provocare osservazioni grammaticali 5 • Ricercare invece l'essenza profonda e sottostante 12
ai fenomeni obbedisce a un rituale ossessionato dall'univocità: la sola essenza , significativa è racchiusa per Wittgenstein nella grammatica, che è nascosta dalla sua stessa superficialità, dalla pervasività con cui attraversa le forme di vita senza radica11si in alcun fondamento. Frazer cerca piuttosto di esorozzaire la « profondità» della magia nel codice ovvio degli errori che ne sarebbero causa. La 1Jeoria assolve in certo modo la funzione di depurare l'oggetto dalle sue sporgenze, dalle sue rugosità, per tradurlo senza ·residui « in chiaro». Ma la radicalità di questa pretesa ha l'effetto perverso di ripTodurre la mitologia nella rete concettuale con cui volevamo afferrarla e ridurla a ragione. Quanto Frnzer di volta in volta propone, infatti, a ben vedere « non è una spiegazione: semplicemente sostituisce un simbolo a un altro. Oppure: una cerimonia a un'altra» (NRO 20). La presunta razionalizzazione del mito si converte paradossalmente in mitopoiesi, finisce per erogare mitologia: in tal senso i rilievi su Frazer repliicano fedelmente, solo con un'eccedenza di acrimonia ideologica, le riserve su Freud. Come Freud, infatti, Frazer « non ha dato una spiegazione scientifica dell'antico mito: ha proposto un nuovo mito» (LC 139). La neutralizzazione dell'irriducibilità dell'oggetto teorico si produce solo a patto di conforma11si alla sua morfologia: a patto, cioè, di rinunciare al divario di razionalità che il discorso teorico instaurerebbe. È proprio la decrittazione teorica, in ·altri termini, a sancire finaittingibilità del suo oggetto: proprio la soluzione è il problema. « Voglio dire: 1a soluzione non è meno inquietante dell'enigma» . (NRO 48). La mgione di Frazer ricade così, per fatale contrap- . passo, nell'alterità da cui intendeva accuratamente demarcarsi. « F , razer - commenta Wittgenstein - è molto più selvaggio della maggioranza dei suoi selvaggi» (NRO 28): concepita come riduzione a mgione, sul modello del testo interlineare, l'esegesi non è che un mito - o un esor13
cismo camuffato. I fenomeni rituali si installano invece in una profondità ,che tra:scende il giustificato e l'ingiustifioato, la verità e l'errore - senza rinviare, peraltro, a un'essenza · recondita. Nel proporsi di « difendere dall'attività mitogenetica ,degli esplicatori della magia», Wittgenstein tenta quindi di « oonservare alla magia la sua autonoma ' Tiefe '» 6 • 4. Freud si e11a misurato con F,razer e la sua « grande opera Il ramo d'oro » 7 nell'approccio al mitologico di Totem e tabù, che cade all'incirca come anello intermedio tra la suggestione della mitologia sull'autoanalisi e la sua centralità nell'impianto del grande , romanzo analitico del Mosè. In ciascun ca:so la mitologia assolve in Freud una delicata funzione di ricorso, di cermera tm immaginario e tenuta effettuale della teoria - in altri termini, una « funzione di amministrazione del1a prova» 8 • Nel senso che la mitologia non ,si presta solo a rraffigurare taluni nodi tematici o a , rappresentare un buon oggetto di prova, ma descrive il linguaggio di figure cui la teoria si appella per la rpmpria legittimazione. E del resto, ,giova ricordarlo, già nel '97 Freud parlava di « miti endopsichioi» 9 compariando le formazioni significanti ai tesori della mitopoiesi. Al di là dei contenuti in cui si esprime, ,l'approccio di Freud al testo di Frazer vie ne dunque privilegiandone un'interpretazione come fondo, riserva di pièces à convinction per suffragare 1a presupposizione di quell'analogia. Se non s orprende, in tal senso, che i suoi esiti risultino meno avvertiti della lettura di Wittgenstein, resta però i1l fatto che la relazione analitica con la mitologia appare in Freud molto radicata e profonda. Tanto che, quando si tratterà di diagnosticare l'assetl:o epistemologico dell'analisi, egli parlerà dell'apparato metapsicologico come di una vera e propria « mitologia». ·« La dottrina delle pulsioni - così Freud nel 1933 - è, per così 14
di11e, la nostra mitologia»: ,< non possiamo prescinderne, nel nostro lavoro, un solo istante, e nel contempo non siamo mai ,sicuri di coglierle chiaramente» 10 • La «mitologia» incorpora in questo senso immagini suggestive ,e convincenti con cui ,si lavora :senza poterle intacoaire, e neppu11e afferrare nitidamente, in ,qualità di griglie ,grammaticali e non di ipotesi provvisorie: a prescindere, ormai, dal fatto che traggano o meno spunto da motivi mitologici in senso proprio. È un viero e proprio debo!'dare della funzione dal suo contenuto originario, in cui giooa comunque un ruolo determinante i,l fondo empedodeo e duale della «mitologia» del Todestrieb. Del mitologizzai!'e non , resta che lo scheletro etimologico di una narrazione non obbligatoria (come 11ecita, appunto, l'etimo della mitopoiesi) che si rende paradossalmente costrittiva, funzione fabulatoria che si perpetua fino a diventare incontroUabi1e, immune da ogni verifica logica. «Da principio - ha osservato Freud argomentando sulla pulsione di morte - avevo sostenuto solo a titolo sperimentale le concezioni testé illus1Jrate, ma col passare del tempo esse hanno acquistato sopra di me un tale poterie che non posso più pensare diversamenre» 11• È il punto in cui la «liturigia di ripetizione» della Bildersprache analitica più si avvicina all'impronta delle formazioni deliranti. Anche •attraverso il dispositivo tabuistico, significativamente concepito come ,ganglio vitale di ogni «,sistema filosofico»: compresenza vivente di « puro» e « impuro», esorcizzazione che dissimula la coazione a dpeterie il proibito, inibizione indotta e subita, marginalizzazione e negoziazione ·surrettizia con !',eterogeneo, potenziamento delle forze che ci , si studia di disattivare col congegno del divieto. La ·« mitologia » transita dunque in F:rieud de ntro uno •spazio semantico denso e spigoloso, all'interno ,cli una « magia della credenza » che mira ad eso11cizzare l'evento e ad attivare, in ciasctma pratica di 'S'aperie, tecni<Che di mobilitazione con15
finaria per ,rafforzare la dema11ca:mone da ciò con cui un tempo si identifi.oava:no. Quanto più bassa è la soglia di vigilanza, e ,quindi più in agguato il gesto sacrificale dell'esclusione, tanto più le pratiche di sapere si rivelano della st , essa natura di quanto vorrebbero disconosoere. Con un sintomatico aTgomento per ritorsione, come cogliendo una oerta coscienza scientifica :in flagrante autofagia, Freud poteva così scrivere ad Einstein: « Lei ha forse l'impressione che le nostre teorie siano una specie di mitologia (eine Art Mythologie), neppure lieta in verità. Ma non approda forse ogni scienza naturale a una sorta di mitologia? Non è così oggi ,anche per Lei, nel campo della fisica?» 12• 5. Di fronte alla descrizione di un rito (ad esempio quello di Beltane •riportato da Frnzer , che incuriosisce Wittgenstein) ci può capitare di reagire dicendo che l'usanza è evidentemente antichissima. · « Come facciamo a saperlo?» (NRO 43). « Donde provi1ene la ,sicurezza che un'usanza siffatta debba essere antichissdma? (Quali sono i nostri dati, quale la nostra ve11ifica?). E se anche possediamo una qualche certezza, non potremmo sbagliarci e venior confutati dalla storia? Sicuro, ma rimane pur sempre qualcosa di cui siamo certi» (NRO 44). La certezza è , tale da non poter essere •scalfita da alcuna evidenza contr · aria. Le prove a suo favore sono soverchianti, per quanto possano apparirie deboli o addirittura non sussii stere, e « non siamo costretti a piegare il ginocchio di fronte a nessuna pTova contmria» (,DC 107). Di più: le prove sono ,soverchianti proprio perché non sussisto ·no, pel"ché non ne abbiamo bi,sogno, e se anche si presentassero controesempi non ne terremmo conto. Le sostituisce una sorta di voce interiore, l'urgenza di tra:sporre la narrazione rituale dn una distanza incolmabile, che non sentiamo il ;bi, sogno di comprovare e che nulla potrebbe fa}sificaire. Se tale evidenza, come afferma Wittgenstein, 16
è « non-'ipotetioa, psicologica», anche l'effetto di rifrazione che la genera non può tradursi in una mera reazione emotiva, come non può esaurirsi in una constatazione « ,storica» o in una semplioe congettura. È invece un rivelativo fenomeno di superfkie, un effetto grammaticale, di cui si tratta di rendere perspicuo ciò che ci colpisce e non affuririamo, viale a dire la sua stessa evidenza. È come se nel vivo di ciò che ci. è più familiare emergesse il .riflesso di un'aderenza (non necessariamente acritica, ma ritUJale) a miti che non sopportano alcuna problematiizzazione. La nostra vegetazione intellettuale pullula di assunti protetti da un abito mentale che li rende esenti da dubbi e riserve. L'autorità di un'immagine del mondo, che esime dall'onere della prova, si avverte là dove ogni giustificazione , razionale si arriesta, dove l'appagamento dissolve ogni ricerca - perché �< al termine delle rngioni sta la persuasione» (DC 99). L'« immagine potente» della persuasione (BBP I, 143) agisoe « sullo sfondo delle mie assunzioni», e a nulla varrebbe dipingerla aus der tiefsten Brust. Ma « lo sfondo che mi è stato tramandato, sul ,quale disti!Ilguo tra vero e falso», è - scrive Wittgenstein - « una specie di mitologia» (eine Art Mythologie) (DC 19). Rumore di fondo della memoTia collettiva, brusio di voci S'enza nome, gorgogliare di mitopfo,sti 1 invisibili che :iririgano gli atteggiamenti e gli abiti mentali. L'apprendimento è descritto da Wittgenstein come una tacita trasmissione di « mitologie», cioè di ambienti indispensabili attraverso i quali (al di fuori dei quali) scon:ie il flusso dei giochi e delle tecniche. Il ,dubbio, in tal senso, non è uno strumento della cognizione ma un suo ostacolo: si apprende, anche a dubitare , solo impaTando a rnon dubitare. Al di qua della scrittura come ·« al di là della cono ·Scenza » 13, la mitologia è un luogo di « pensieri minerali», cristallizzati in '« rooda dura» (DC 19) dalla loro 17
stessa rarefazione in ibrnsio, :riespiro, «fiato». È la dimensione aurale di una forma di vita: serpeggi 1 are di insensibili ,esclusioni, di «voci» ormai immemoriali che aggregano attorno 1 a certi mitologemi. Congiunta a,l piacere della •seduzione, a una narrazione s�a soggetto che viene più respirata che ascoltata, la mitologia descr-ive la scena ,di una forma di vita, il �< prototipo di un modo di pensare» (Z 396) intessuto di miti «inattaccabiJi (ungreifbar), come spettri» (OFM 42). La «voce della mitologia» seduoe « nella penombra di un semi-silenzio )>, «come la 'piccola parola ' mai pronunciata, l'intelaiatura dell'edificio sociale, 'ciò che lo ,sostiene nel mezzo ma resta nascosto alla vista'» 14. E l'etimo sembra far :riaffiorare un'oscura area liminare, confinaria, sospesa tra silenzio e parola: « alla radke di mythos è mu-, cui si 1'egano anche ,il fatino mugio 'muggi , re', 'mugghiare', 'risuonare' e musso 'mormorare fra i denti', 'parlare sottovoce' (però mussant anche le api, ispirntrici melliflue e sov, rannaturali del poeta), il greco myzo ' sbuffa- ' , • ' b 1 , e h · a· ·1 ' h. re , gemere , · ronto are ,o ,e 1n 10a pure 1 succ iare' dell'infans), infine, e soprattutto, myo 'stare chiuso', 'stare calmo', 'tacere' ,e mutus, applicato in origine ·al· l'animafo "che •sa dirie -soltanto 'mu' ", poi all'infans che non ha parol , e, e mugola, piange, grida, e al morto la cui bocca è per semp:rie rinserrata dalla pietra tombale mutaparlante» 15 • 6. «Nel nostro linguaggio - scrive Wittgenstein - si è depositata un'intera mitologia» (NRO 31). Sfuggendo ad ogni ottioa correttiva, tesa a depotenziarla o ridurla a ragione (salvo subi · �e vistosi effetti perversi), essa si propone come un territorio da · «-dissodare» (durchpflegen) - senza prenderne le parti né irriderla, ma avvertendo la necessità ,cli scontarla, anche nelle strategie più disiincarn:tate e trasgressive. Turbati dalla sua assenza di fondamento andiamo a caocia di princ ìpi di ragione 18
più ,deboli di ,quanto dovrebbero fondare, mentre dav·anti all'ar:riesto delle ragioni nell'appagamento «dovremmo vedere questo fatto come un ' fenomeno oriiginario ' » (RF 219). L'1adozio ne del concetto goethiano di Urphéinomen non dev , e f.ar dimenticare che già in Goethe esso indicava il limite ,del problematizzare, l'immagine essoterica dell'insondabile (Unerforschliche) che è galvanizzato dai saperi occulti ma può dirsi, in crealtà, enigma solo in quanto impenetrabilità della superficie. Nel fenomeno originario, scrive infatti Goethe, «tutto è più ,semplice di quanto si possa pensare e in pari tempo più complicato di quanto si possa comprendere » 16 • Piena evidenza può offrirsi in esso solo come perfetta inaocessibilità: nella dialettica radicale di Goethe in cui gli estremi coesistono come differenza non pacificabile. Costantemente esposta alle insidie ideologiche, l'apprensione dell'insondabile si affida al difficile ,equilibrio di un'indifferenza creatrice che non aspira né a colti'V'arne una torbida familiarità, né a segregarlo razionalisticamrente. Nella compiuta teoresi del limite (péras) che si propone di · «venerare serenamente l'insondabile», l'empiria ,si fa «delicata», cioè · S'i tinge delle ombre e delle sfrangiature che la nostra stessa memoria, la nostra ,stessa visione ha deposto su talune ,evidenze. La zarte Empirie non indica la purezza di una fattualità sottratta alle ipoteche teoriche, ma il - darsi di un limite che blocca l'anatheorismos e impedisce di I'isalire lungo la catena delle ragioni. Non di uno sguardo in-genuo si tratta, di uno sguardo che etimologicamente nasce libero, ma dello sguardo autenticamente teorko, che vede e riconosce di non poter comprender:e - la cui visione è al contempo rinuncia, distaoco dalla profondità. Ingenuo è semmai l'escamotage con oui sovente ci si sottme a tale neoessità, nel delirio di profondità che va in cerca di un fondamento più rassicurante. « La cosa più ·alta - recita un passo di Goethe 19
ripreso da Wittgenstein (BPP I, 157) - sarebbe: comprendere che tutto ciò che è effettivo ( alles Factische) è già teoria (...) Baista non cercare niente dietro ai fenomeni; essi stessi sono la teoria» 17 • 7. Per un verso immagine stregata e « idea preconcetta che si impossessa di noi», il « fenomeno originario» segna contemporaneamente in Wittgenstein il darsi di persuasio ni infondate entro una forma di vita - con un'inesorabilità che piega la « vanga» esplicativa. Attraverso Goethe, quindi, Wittgenstein viene pensando il limite inanalizzabile prodotto dalla « mitologia» - rituale di riduzione a ragione ma anche vuoto di ragioni in cui fluttuano le « immagini del mondo»; artificio che tutela indebitamente la credenza ma ,anche natura del suo incoerdb:iile conoretarsi nelle forme di vita. Ed è attraveriso Goethe che appare infine tmcciabile il rapporto di Wittgenstein con Freud, come un' , affinità descrivibile ,solo nello spazio di massimo conflitto e rimpatto critico 18 • Nella •« mitologia», infatti, Frieud ha colto la necessità dell'arresto della catena della problematizzazione, nel quale as,sunti infondati vengono , ammessi o si impongono come fondamento. Ha avvertito H caratt ere costruttivo e costrittivo della dimensione anipotet�ca, con i suoi mitologemi e il -suo linguaggio di figure (Bildersprache): acrisia che si rende inanalizzabile, rapprendendosi in immagini, e produce « resistenze» che hanno un effetto cherat inoso di tutela della credenza. Ma Freud ha finito per declinare al passivo questa scoperta, subendo }a seduzione di una mitologia che ,gli ha fatto concepire la sua impresa come sfondamento della parvenza, in termini essenzialisti. Freud ha proposto immagini straordinadamente potenti, ma che a una certa altezza erano in grado solo di dissolvere altri problemi o approcci, di per sé significativi ma con esse incompatibili. Ha preferito 20
il sacrificium intellectus ·alla -rinuncia della volontà che si richiede per comprendere le cose più difficili, cioè quelle più ovvie. Sono allora proprio le soluzioni di Freud a turbarci, ,ad inquietarci, iad irretirci come un simbolismo onnivoro («non possi iamo liberarci dalle implicazioni del nostro simbolismo», LB/LIM 142), al punto che Freud appare vittima della sua stessa scoperta: incapa,oe di interpretarla con saggezza, ma ,solo lin modo ingegnoso (geistreich). 8. Ma è possibile tracciare un:a demarcazione tra una mitologia di cui subiamo fa •suggestione ed una che sappi-amo rendere autoriflessiva, oioè tema di se srtessa? Come può far cessare i suoi effetti lo specifico della mitologia, vale a dire l'irnibirione dell'autoriflessione critica? È possibile tematizzarla senza esserne coinvolti, in modo che tra -discorso e oggetto sus,sista, per così dire, un'intersezione vuota?«Anch'io - scrive Wittgenstein - facoio della persuasione. Se uno dice: 'Non c'è differenza ', e io dico 'Una diffeI'enza c'è', !i.o sto persuadendo, sto dicendo 'Non voglio che tu consideri la cosa in questo modo '(...) In un certo senso, sto facendo propaganda per un certo stile di pensiero contrapposto a un altro»(L;C 95-6). La genesi di uno «stile di pensiero», per quanto o:dentato a problematizzare i rituali fondazionalisti , impone ,tacitamente vincoli all'autoriflessione critica, immunizza zone franche per fa discussione razionale, tratteggia insomma il perimetro aura1e di una « mitologia» - la penombra dei 1 suoi « mi• sconoscimenti fondatori» 19• -Equipaggiato per ingaggiare una battaglia contro l'incantamento prodotto dal linguaggio, contro i «crampi» mentali, Wittgenstein è anche inchiodato alla sagoma fluente e incerta dei bordi che separano i cerimoniali fondazionalisti dalla sezione aurale di una forma di vita. 21
Il d1sagio che la pratica da. Freud genera in Wittgenstein ha a che fare con questa precaria disoernibilità, col confondersi di natura e artificio all'interno della mitologia (non a caso ·apparentata al termine anfibio Naturgeschichte, · «storia naturale»). Dissodare la mitologia che si è calata nel linguaggio equivale quindi, per certi aspetti, a rivendicare le «ragioni» della mitologia: connaturata alla trama discorsiva, non vi èl metalinguaggio in grado di considerarla come un oggetto eterogeneo alle pratiche che ne discorrono. « La mitologia può di nuovo tramutarsi in corrente, l'alveo del fiume dei pensieri può spostarsi» (DC 19): «frontiera mobile», •« luogo nomade» (Detienne), la mitologia recalcitra a porisi come alterità, a ,soggiacere all'individuazione, poiché permea forme di vita e pratiche discorsive ,sen�a poterne essere disaggregata in termini lineari - come un contorno non cinge o delimiita, ma attraversa la cosa 20 • Può «lavorarla» solo una pra:tica confitta dentro 1l'immemodale che da sempre disegna la nostra , scena: con l'originalità sterile e « solo riproduttivia» (figlia ·dello 1« spirito ebraico») con cui Wittgenstein ispira a Drobil le ,sue prove di ,scultura (PD 45) e vede Freud elaborare il germe di Breuer 21• Anziché ru.n'irratio o un'anomalia della ragione, un sapere antitipico a una , razionalità compatta, la mitologia appare piuttosto run operatore trasver-sale di commistione, di ibridazione, che si infiltra soprattutto nei dispositivi della mzionalità che vorrebbe espellerla. 1 La mitologia è un corpo teorico mescolato 22 , un mélange di più .ragioni - ad un tempo scena del gesto sacrificale dell'esclusione e matrice di una compresenza vivente dell'eterogeneo. Anchilosi dell'identico e satura del diverso; ragione tanto inattaccabile da assumere le ,sembianze del mito o mito che convoglia inaggirabili ragioni. Mito-logia, del resto, non è fin dall'etimo un lessema ibrido, che congiunge immediatamente mythos e logos? Oppure la 22
sua ambiguità discende dal fatto che ci «ricorda», in modo oscuramente familiare, i loro ,transiti, i loro bordi ,sfrangiati? Gianfranco Gabetta NOTE 1 Cfr. Wittgensrein L., Pensieri diversi ( d'ora ,innanzi PD ) , Adelphi, Milano 1980, p. 45. Le altre opere , di Wittgenstein citate vengono indicate con Je seguenti. abbreviazioni: BPP = Bemerkungen uber die Philosophie der Psychologie/Remarks on the Philosophy of Psychology, Ba:sil Blackwell , Oxford 1980; DC = Della Certezza, Einaudi, Torino 1978. LB / LM = Libro bl'u e Libro marrone,. Einaudi , Torino 1983; LC = Lezioni e conversazioni sull'etica, l'estetica, la psicologia e la credenza religiosa, Adelphi, Milano 1967; NRO = Note sul « Ramo d'oro» di Frazer, Adelphi, Mifano 1975; OC = Osservazioni sui colori, Einaudi , Torino 1982; OFM = Osservazioni sopra i fondamenti della matematica, Einaudi , Torino 1971; RF = Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1967; Z = Zettel, in Schriften, Frankfurt am M. 1970, Bd. 5. 2 Cfr. infra, nota 21. Quanto alle testimonianze dirette cfr., oltre a quellie .più note dii Rhees, Drury M. O'C., Some Notes on Conversations with Wittgenstein, in Ludwig Wittgenstein. Personal Recollections, Basi! Blackwell, Oxford 19&1, pp. 151 sgg. 3 Cfr. li:l Juogo aitato da McGuinnes, s B. , Wittgenstein e Freud, 0I1a in AA.VV., Ludwig Wittgenstein e l'a cultura austriaca, Longo, Ravenna 1983, pp. 26-7. 4 Rella F. , Descrivere, rappresentare, figurare. Lo stile di Freud, « Nuova Corrente» 67, 1975, p. 258. 5 Cfr. il mio L'esperimento mentale in Wittgenstein, « Ri· scontri » 1, 1983. 6 Jesi F., Wittgenstein nei giardini di Kensington: le Bemerkungen iiber Frazers « The Go1den Bough», li.n Materiali mitologici, Einaudi, Torino 1979, p. 173. 7 Freud S., Totem e tabù, in Opere, Boringhieri, Torino 1967-80, vol. VII, p. 44. 8 Cfr. Anzieu D., Freud et la mythologie; « Nouvelle Revue de Psychanalyse», 1 (Jncidences de la psychanalyse), 1970. 9 Frieud S., Le origini della psicoanalisi. Lettere a W. Fliess 1887-1902, Boriinghieri, Torino 1968, p. 172. 23
10 Freud S., Introduzione alla psicoanalisi (Nuova serie di lezioni), in Opere cit., vol. XI, p. 204. 11 Freud S., Il disagio della civil'tà, lin Opere cit., vol. X, p. 606. rz Freud S., Perché la guer;ra?, in Opere eit., vol. XI, p. 300. 13 Cfr. Luckhardt C.G., Beyond Knowledge. Paradigms in Wittgenstein's Later Philosophy, «Philosophy and Phenomenological Research», 39, 1978. 1 4 Detienne M., L'invenzione della mitologia, Boringhieri, Torino 1983, pp. 125-6. «Nei termini dell'anahlsi che ne fa Platone nelle Leggi - ,spiega Detienne -, fa vera mitologia non è né nell'epopea di Omero, né ne1le avventure degli dèi o degli eroi; appartiene aUa tradizione seg,reta che -si mormora tra i proverbi e i detti anonimi, questo rumore di fondo della memoria sociale che precede ogm indagine o ricerca volontaria sul passato» (Les mythologues de la cité, «Revue ifrançaiJse de psychanalyse», 3, 1979, p. 374). 1s Bologna C., Voce, iin Enciclopedia Einaudi, Torino 1981, vol. 14, p. 1272. 16 Goethe J.W., Teoria deZ-Za natura, Boringhierii, Torino 1958, p. 165. 17 Ivi, p. 203. Cfir. Schulte J., Coro e legge. Il « metodo morfologico » in Goethe e Wittgenstein, «Intersezioni» 1, 1982. 18 In un appunto del 1939-40, Wittgenstein. osserva: «la mia originaHtà ,(, se questa è la parola giusta) è, credo, un'originalità del terreno, non del ·seme. (Io forse non ho un seme mio proprio.) Getta un , seme nel mio terreno e oresoerà diversamente che in qualsiasi altra terra. Anche l'originalità di Fireud era, credo, di questo tipo. Ho sempre creduto - senza saperie perché - che �l vem seme della ps, icoa!Ilalisi provenisse da Breuer, non da F , reud. Il granello di Breuer natur· almente può essere stato , solo molto piccolo» (PD 73-4). 19 Nel 1 senso di Girard R., Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano 1983. 20 F1nzi S., Silhouettes, «Il piccolo Hans» 27, 1980, p. 7. Sono conwnto che , sia possibile ritradurre nell'aurale a:lcuni passaggi del percorso di Finzii attorno la «parentela» , tra W,ittgenstein e Freud, 'lungo la figura del contorno e della silhouette. E la mitologia interesiserebbe quell'« atmosfera insieme di familiarità e di estraneità, d!i datità intangibile e di ritrovamento improvviso» (p. 6). 21 Cfr. Serres M., Rome. Le livre des fondations, Grasset, Paris 1983 . 22 Cfr. JoMes A., Forme semplici, Mursia, Milano 1980, per il quale i!l solo parlare di «mitologia» signiifi.ca mescolare i contrari (das Widrige zusammengiessen). 24
Intersezioni: Levinas e il discorso del volto NuHa di più che un camminamento 1, un'erranza, un esodo attrave11so alouni pochi nuclei dell'opera di Levinas, nelle sue ripercussioni, nelle sue intersezioni con altri nomi, altri testi, lungo un sentiero daille voci incrociate, in cui echeggia il «passo» (le pas) dell'assente. Neher, sulla·«lettera» senza origine e senza termine: « Nell'universo ebraico della Bibbia non esiste alcun punto Omega per la sempHoe , ragione che non esiste alcun punto A:lfa. La Bibbia ebraica inizia non con la prima lettera dell'alfabeto, ma con la seconda, con il bet (...) Con la Genesi, non è la storia che comincia: è fa parusia di una storia già matura che comporta i resti, forse i frantumi ma anche i germi stimolanti e soprattutto le realtà definitivamente perdute dell'Alfa anteriore(...) Nella concezione ebraica, A non è l'inizio ma l'anteriore. E Z non è la fine, ma l'apertura. La grande affermazione ebraica è che Omega non è né la fine, né il centro, né la svolta decisiva. La lettera ultima dell'alfabeto ebraico è il taw, segno del futuro della .seconda persona, coinvolgimento dell'uomo interpellato in un avvenire infinitamente aperto (...) Al limite, Omega non apparirà mai, come, a1ll'altro capo, Alfa non è mai apparso. Alle due porte opposte della ,storia, l'ingresso resta ilibero, ed an25
che l'us,cita. La Genesi e l'Esodo sono ris,chi infiniti ed eterni» {1970). Jaibès collega erranza a differenza: « Questa non appartenenza è anche ciò che mi avvicina , a1l'essenza dell'ebraismo. L'ebraismo, in un certo senso, non è che un int , errogativo po, sto alla Storia (...) Interrogare, per l'ebreo, è mantenere sempre aperta la questione della differenza» (1980). B1anchot, ,soprattutto a proposito di Levinas: « L'ebreo è l'uomo delle origini, che nel riferirsi alle origini non resta ma ,si allontana, e così proclama che la verità dell'inizio sta nella separazione (...) Parlare a qualcuno significa acoettare di non introdurlo nel sistema delle cose da ·saperie, anzi riconos,cerlo come ignoto e :accoglierlo come estraneo •senza cost'I'ingerlo a intaocare la sua differenza. In questo senso, 1a parola è la terra promessa in oui l'esilio ·si realizza come soggiorno (...) Parla:rie è cericare l'origine del senso nel prefisso di parole come esilio, esodo, esistenza, esteriorità, estraneità (...) Un p11efi.s, so che indica nella divaricazione e nella separazrone l'origine di tutti ,i '' valori positivi 11 » (1969). E un eminente psicoanalista di matrice ebraica (ma la psicoanalisi non è forse l'irruzione dell'« ebraicità» nel logos greco, l'Altro svelato nel luogo del Medesimo? 2 ), Salomon Resnik: « Nella relazione naricisistica, l'altro esiste solo ,come facente parte di un unico mondo polarizzato intorno ad un Io egocentrico che include l'altro nel proprio campo (...) L'incontro con l'altro è collegato con la capacità di oat • egorizzare lo ,spazio-tempo (...) La differenziazione che marca la separazione dall'altro si concretizza nel dolorie per l'ailterità (...) Comunicare con l'altro significa riconoscere la sua assenza immediata e la presenza mediata del mondo» 3 • E allora De11rida, in conclusione al suo capitale saggio su Levinas: « Siamo ebrei? Siamo greci? Noi viviamo 26
nella difforenza fra l'Ebreo e il Greco, che forse è l'unità di ciò che •si chiama storia» (1967). Qual è allora il rapporto che lega un certo numero di questioni (e di autori: da Blanchot a Jabès a Derrida... in un reciproco rinvio di testi, l'uno presenza e fuga dell'altro, in una con-sonanza stordente...) al nome e all'opera di Emmanuel Levinas (n. 1905) che rappresenta, qui, un luogo di intersezione «magistrale» nell'ambito di una tramatura, di pensiero e di parola, «che ha abbandonato il luogo greco»? Convocheremo innanzitutto la «figura» cardinale in cui è condensato il ·lungo travaglio riflessivo di Levinas, a partire da De l'Existence à l'Existant ,e da Le Temps et l'Autre, attraverso En découvrant l'existence..., sino ai culmini di Totalité et Infini e di Autrement qu'etre: l'immagine del VOLTO. P:rieparata dalle cadenze solenni di un tramonto epocale dell'egologia - «L'inquietudine solipsista della coscienza che •si guarda, in ogni avventura prigioniera di Sé, qui ha il suo termine: la vera esteriorità è nello sguardo che m'interdisce qualsiasi captazione (...) Chiamiamo volto l'epifania di ciò che si presenta direttamente ed esteriormente ad un Me» (1949) -, essa così emerge: « La modalità secondo cui si presenta l'Altro, eccedente l'idea dell'Altro ì:n me, noi la chiamiamo volto »4 (1961). Un -salto all'indietro - logico-strategico più che cronologico - è necessario per interpretare differenzialmente ,questa ,somma figurazione eterologica. Infatti, rispetto alle due grandi tradizioni «ermeneutiche» mo ,derne - di Husserl e di Heidegger -, la posizione di Levinas è, dall'inizio e per sempre, ambivalente, nel senso che della loro totalità viene accettato il metodo (il «linguaggio») ma respinta la sostanza (il tèlos): come ben ,dice Mura, tre sono schematicamente i bersagli critici generali di Levina:s, nell'ambito del secolare pensiero oocidentale dell'essere, ivi compresi Husserl e Heideg27
ger: un movimento teleologico che converge verso l'essere, ma non è capace di trascendere la (heideggeriana) « dimora dell'essere», vi· sta come ennesima ripresentazione del Medesimo; la Ticerca di un'archè, che però non ha la forna, l'audacia di pervenire ad un luogo/non-luogo an-archico, dove l'originario ,sia radicalmente spiazzato da un'autentica differenza; una concezione ontologica global , e che deve invece, per Levinas, essere trascesa dalla costituzione di una anteriorità (etica) pre-or:iginaria (vedasi .allora Neher). In Husserl, Levinas vede ancora attivo un primato (greco) del theorein come pre-costituzione dell'oggetto e pI'e-comprensione (e ,quindi assorbimento nello Stesso) dell'altro: , ancora la metafora (platonica) della ·« luoe» che non consente il suo superamento verso !' , enigma dell'alterità (non-luoe), ma che, anzi, ,si dà come vio1enZJa penetrante di un gesto epi! stemofilo (ciò che, ad un altro livello, Foucault chiama la �< volonté de savoir»). .L'alter ego husserliano (nelle Meditazioni cartesiane) è ancora « run fenomeno relativo all'orizzonte dell'ego». D'altro canto, in Heidegger ,si assisterebbe ad ·un'ipostasi dell'essere, quale risultante dell'analitica del Dasein; più precisamente, Heidegger avrebbe�< verbalizzato» l'essere, nella sua differenza con l'ente, in direzione di una originarietà dell'evento del ·linguaggio nell'essere, di una intimità con l'essere che non presuppone, anzi nega, ogni istanza di esteriorità e dunque di- reale alterità. In questa area di rif1es, sione, il concetto levinasiano di Il y a (esattamente il neutro ripreso poi da Blanchot) 5 come « esistenza senza esistente», segna il punto zero, nell'ambito della serrata critica al pensiero heideggeriano, da cui è possibile passare alla posizione di Autrui. L'« orribile neutralità» dell'Il y a ha la funzione di incunearsi, come terzo esdµso, fra l'ente e il nulla, laddov,e Heidegger concepiva un' extasis dal m11 lla operata dal Dasein: momento apotropaico infinitesimale, che divarica l'esistente 28
dall'esseI1e, in forza di una« terziarietà» (non-binarismo) che si predispone ad assumere l'orma della differenza in quanto separazione ed estraneità. L'Altro, insomma, affiom in Levinas (1947) come « tempo» a-storico, oblio a-teologic o (« a-Dieu »), « attesa ,senza atteso» (Mura) e quindi inoessante rinvio (si pensi, ancora, all'adibizione blanchottia na di questo tema, allo · «sviluppo fugato» della scrittura derridiana e al nomadismo interrogante di fabè!s...): rinvio ad Autrui, di cui, e con cui , pernltro non è possibile né rappresenvazione né incontro« storico». L'· «Immemoriale non rappresentabile» (non suscettibil,e, letteralmente, di ri-presenit:azione, di contatto, di possesso) è tutto teso a fondare, come dice Derrida, una metafisica della separazione e dell'esteriorità rndicale. Ma sia detto subito che in Levinas l'opposizione metafisico/non-metafisico è resa non pertinente: ciò che da Nietzsche e da Heidegger a Deleuze e a Derrida figura come fobia del pensiero metafisico e ossessione del1a differenza risultant , e dalla de -costruzione ,del 1ogooentrismo occidenta1e, si presenta in Levinas, con l'estremo vigore di un oblio arttivo, quale posizione dell' ex-sistere « infinitamente» al di qua del1'esse!'e e della sua cloture: esistere in quanto pensiero di una •speciale tra-scendenza, dell'esteI'iorità, del faccia a faccia etico con l'Altro, - evento del volto, traccia della se/parazione, Detto (Dit) che si metatemporalizza nell'anteriorità pre-originaria e immemoriale del Dire (Dire) 6 • I,l volto, dunque. Ma se « significare equivalesse a indicare, il volto sarebbe insignificante (...) Esso procede dall' · aissolutamente Assente (...) L'Assente ha significazione nel volto (...) Tale ,significanza è la significanza della t:r;accia. L'al di là da cui viene il volto significa come traocia» (1963). Ora, qual è il rapporto fra Volto (come figurazione di Autrui: {< L'assolutamente Altro èJ Autrui ») 7 , linguaggio e traocia? È veramente potente, quanto scon29
certante, l'associazione data a tal proposito da Levinas tra Volto - o Autrui - e discorsività: « L'epifania di Autrui non è semplicemente l'apparizione di una forma nella luce, sensibile o intelligibile, ma proprio di un 'Non ' -lanciato al poterie. Il suo logos è: 'Tu non mi ucciderai! '» (1961). L'esteriorità - la pre�condizione del Dire - è fondata dalla posizione assolutamente indipendente (irreciprocità, irr,ettitudine, dissimmetria, - nel linguaggio di Blanchot) dell'Altro: infatti, « io non posso voler uccidere che colui che supera !infinitamente i miei poteri e che paralizza il potere stesso di potere. Autrui è il solo esserie che io possa voler uccidere» (1961). Riferendosi ancora ad Heidegger («È la Parola che porta l'essere alla Priesenza»), Levinas rifiuta il doppio concetto di rappresentazione: , sia Vorstellung, conoscenza dirietta dell'esserie ,dell'ente, che Darstellung, disoccultamento del senso dell'essere, in quanto forme , diverse rrni. convergenti, di una presentificazione che comporterebbe al'lnullamento dell'alterità e cancellazione della separazione. La relazione col volto, pur non essendo · «visiva» ma etica, è nondimeno significativa e parlante: Levinas introduoe in accezione etimologica un termine apparentemente generico: « Volto e discorso •sono legati» 8 , nel senso della ris-posta 9 e della res-ponsabilità 1 0 , in un faccia a faocia che interidisce tanto la mediazione che la totalità: « Il dis-corso mantiene la distanza fra me ed Altri, la separazione radicale che impedisce la ricostituzione della totalità» 1 1 (1963). L'Ego è costretto a riconoscere - proprio attraverso il linguaggio come dis-corso - la trascendenza dell'Altro: da cui deriva anche che nel dis-corso viene ad infrangersi tutto il pensiero inteso come sinossi e totalizzazione (Mura). Se dunque il linguaggio si fonda come relazione (la si dica trasoendente o «terziaria») all'Altro, correlata all'ex-sistere è la nozione stessa ,di ex-pressione come cuore del dis-corso: 30
l'Altro �< è espressione», va1e a dir , e Volto, vale a dire incontro frontale che può dirsi anche giustizia. Se « il linguaggio parla là dove manca la comunità tra i termini della relazione» (,e ,si colga, qui, la dsonanza laca:niana dell'asserto), Ja giustizia, in quanto dimensione etica del linguaggio, « ,sariebbe proprio questa 11elazione con l'Altro che il linguaggio-esp!'essione-separazione è capace di instaurare, permettendo la 'rivelazione dell'Altro '» (Mura). Aniche, ,aggiunge Levinas, si può rapportare la giustizia del dis�corso aHa maestria del Ma:estm, come figura tmscenderrte dell'Altro: il « dia-logos» (�< la parola è sempre una riprnsa» dell'Enigma dell'Altro, è l'Altro nel dis�corso) può inil'eociarsi solo ,se nnterlooutore è su di un piano esterno ad ogni narcisistica egosintonia: « L'interlocutore non è un Tu, è un Lei»: maestria, esteriorità, tra,scendenza, radicale difforenza, che Levinas denomina anche: Illéité (,altro aspetto di Autrui: « il posto dell'Altro»), « manifestazione di Altri nel volto». Boco dunque ,oolto quell'altro dal Greco, quell'altro dall',esse:rie a lungo inseguirto dalla riflessione· assillante di Levinas: l'Illéité come disturbo della possibile adesività, della coestensività comunicativa fra l'Io e l'Altro è assimilabile all'Infinito (movimento d'esilio, di nomade attesa senza atteso: desiderio) quale frattura della Totalità e aLl'Enigma quale ascolto della tracciia: « L'Enigma, in- . tervento di un senso che disturba il fenomeno, ma tutto disposto a ritrarsi come uno straniero indesiderato, a meno che non ,si tenda l'or,ecchio verso quei passi che s'allontanano, è }a trascendema ,stessa, l'imminenza dell'altro iin quanto altro» 12 (1963); ma, appunto, « la trascendenza - puro passaggio - è traccia» (1963). Ora, se 1a nozione di Spur è ancora di ascendenza heideggeriana (in quanto risultante della cancellazione della differenza fra Essere ed ente, ma anche come orma, passo dell'even'ke presente-assente dell'Essere: in Holzwege ), non sfuggirà come in un filosofo quale Der.rida la no31
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