Il piccolo Hans - anno X - n. 40 - ottobre-dicembre 1983

«Ecco alcune frasi che ho scritto il mattino del giorno in cui Through the Looking-Glass mi è stato recapitato: Sono un ignorante. Per molto tempo mi sono creduto sicuro del senso delle parole, sino a un certo punto mi sono creduto persino il loro padrone. Ma ora che le ho un po' sperimentate, mi sfugge. [...] Ma non so dove va il mio spirito e che cosa vale ciò che mi dà quando penso all'Infinito. Chi potrebbe mai in verità credere che per il Matema­ tico la parola INFINITO abbia un senso. + Infinito, - Infinito si dice senza cessa in matematica, ma... ecc. ecc. Non sono andato molto lontano in questo tentativo di esplicitazione verbale. Ma mi sono sentito estr:emamente colpito quando voi stesso, signor Ferdière, mi avete segna­ lato che il passaggio concernente l'invenzione verbale pu­ ra, dove dunque si pone ancora una volta il problema, sempre pendente, delle origini del linguaggio, era quello che vi stava più a cuore. [...] Ho pensato anche ad alcune espressioni per tradurre Humpty Dumpty, ma tutto il passaggio che concerne le parole-valigie mi sembra di un'attualità stupefacente». (Nouveaux écrits de Rodez, pp. 64-5) A questa menzione dell'Infinito, colto e interrogato nel­ la sua accezione matematica, fa seguito immediatamente la menzione dello stesso termine nella sua accezione re­ ligiosa. In realtà, questa parola permette un tale sposta­ mento, lo richiede anche giacché l'essenziale è all'occor­ renza il fatto che ormai è sotto il segno dell'infinito re­ ligioso - più precisamente, quello della religione cristiana - che la questione del senso, in tutti i suoi aspetti, si pone. Con un'ampiezza senza precedenti. Come se, proprio con questa parola, Artaud avesse trovato un quadro ab­ bastanza largo, consistente, che gli permetta di effettuare quel movimento di ritiro grazie al quale la poesia può avere ancora una possibilità di trovare l'efficacia che le è propria, grazie al quale essa può esistere nel momento 98

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