Il piccolo Hans - anno X - n. 40 - ottobre-dicembre 1983

tiravo giù tutte, e andavo felicemente a mangiare, con una sana sportiva atletica fame. L'orfanotrofio Magnolfi di Prato significava la ricerca di un momento culturale rimosso dalla città, luogo dimen­ ticato di cui gli uomini cittadini conoscono certo l'esisten­ za, ma la sanno su un piano unicamente rituale... non reale: quel luogo di oppressione - di reclusione - non gli appartiene più... ed è come non gli fosse mai appar­ tenuto. Ne le baccanti, filtra dappertutto questo senso di inconsapevole auto-repressione: il penteismo... è l'uomo comune - ragionevole - che reprime le sue interne pul­ sioni, e si fotte, perché questa ragionevolezza si dimostre­ rà incapace di sostenere ogni irrompere improvviso del­ l'irrazionale. Dioniso, la tragedia, le scansioni della trage­ dia... sarebbero state proiettate dentro lo spazio chiuso di quell'orfanotrofio. Il prologo, era quel teatrino dove alla fine dell'anno, o nelle ricorrenze delle feste natalizie e pasquali, i diret­ tori gli insegnanti i sorveglianti dell'orfanotrofio raduna­ vano i ragazzini e facevano fare loro uno spettacolino. Lo spettatore entrava da una porta che dava su un cortile interno, in cui lavoravano degli artigiani... entravano in una stanza tinta a calce bianca e aspettavano che una guida li introducesse nel primo spazio, che era il luogo di cerimonia dell'orfanotrofio. Entravano, e si trovavano di sghimbescio, obliqui rispetto alla scena... avevano di fianco, in fondo in quell'angolo laggiù, lontano un palco­ scenico vuoto piccolo: io intanto ero passata da dietro una porticina a lato del palco, loro ancora non mi vede­ vano, si sedevano spiazzati... davanti a loro un grosso spazio vuoto, e poi quel palcoscenico piccolissimo. Faceva buio - e io entravo: mi mettevo accanto a loro, in diretto rapporto con loro... e si accendeva una luce che veniva dalle finestre: era la luce di un sole divino, a me già mi emozionava quella... luce dall'esterno, che cominciava a 52

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