Il piccolo Hans - anno X - n. 40 - ottobre-dicembre 1983

loro ha ciò che fanno con il senso che avrà per lo spet­ tatore. Il significato delle «sviste» su cui si basa il racconto di Gadda va forse ricercato nel contrasto fra l'analogia del suo procedimento con i procedimenti degli esempi che gli abbiamo accostato, e la differenza diametralmente opposta del tono. «Certe cerimonie abbondanti - scrive Tommaseo nel suo Dizionario - sono caricature». Il desiderio smodato di concordare il senso della rap­ presentazione con il senso che essa dovrebbe avere per gli spettatori, l'apparente sintonia fra palcoscenico e sala è per l'appunto la «cerimonia abbondante» che Gadda racconta. Non fa una parodia. Racconta una caricatura con i procedimenti della caricatura. Abbiamo detto, all'inizio, che Gadda osserva il teatro come se l'accordo spettatore-spettacolo fosse sprofondato nel nulla. È vero, ma è vero soprattutto non perché c'era e non c'è più, ma perché vorrebbe esserci (o per dirla con una maggiore cautela: perché vorrebbe esserci trop­ po). In tutti gli esempi che abbiamo attraversato, la «svi­ sta» sembra consistere in un atto di fede sul valore del­ l'indipendenza dello spettatore, sulla mancanza di accordo intorno ai significati e sul valore della coerenza formale come garanzia per la costruzione di associazioni insieme libere e fondate. Solo che nel primo caso, quello di Gadda, questo atto di fede per attuarsi deve opporsi alla tendenza imperante: quella d'una «cerimonia abbondante» nel ce­ lebrare l'accordo fra palcoscenico e _ pubblico. È questa abbondanza che rivela la miseria del teatro. La «svista» mostra, in realtà, non un limite della rap­ presentazione, ma la natura forse più intima e feconda della tradizione del teatro occidentale: quella per cui gli spettatori e gli attori con-vengono senza con-sentire. 220

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=