Il piccolo Hans - anno X - n. 40 - ottobre-dicembre 1983
guaggi e, mentre prende per Arte la sua rovina, si protegge dal fuoco che è proprio ciò che non la minaccia. L'assenza di un «benché minimo odore di bruciatic cio», dopo lo scatafascio che Gadda ha rappresentato, è un sardonico lieto fine. I due fili dell'intreccio del racconto sembrano, così, convergere in uno, perché l'imprecisione per cui lo spet tatore continuamente confonde ciò che è dentro e ciò che è fuori dai limiti della rappresentazione, quella im precisione che Gadda apparentemente racconta, ma che in realtà con arte efficace induce nel lettore, il quale con tinuamente si chiede se gli elementi che Gadda descrive siano ciò che l'autore finge di vedere a teatro o non siano invece il risultato della sua visione fintamente ignara dei limiti del teatro (cosa pertiene al cielo all'alba e alle rocce, e cosa invece alla tela con cui son rappresentati in scena?), quell'imprecisione, dunque, è il soggetto stesso dello spet tacolo che l'autore vede. La svista, così, si rivela per la vista stessa. È la radicale estraneità alle convenzioni del teatro che permette la ricchezza d'un (altro) spettacolo. Il tono di Gadda è apparentemente ' parodistico, ma il suo procedi mento non è lontano da quello di Baudelaire ne La Théa tre de Séraphin, dove si racconta di un letterato (forse Théophile G . authier) che è costretto ad accompagnare un amico a teatro sotto l'influsso dell'haschisch: ha freddo e penetra in un mondo di tenebre, sogna notti polari e un eterno inverno. La scena gli appare piccolissima e lontana, come in fondo a un lungo stereoscopio. Il pensiero del letterato - «semblable à une danseuse habile» - afferra qua e là un brandello di frase e ·se ne serve come d'un trampolino che l'aiuta a saltare in sogni lontani. Anche in questo caso, lo spettatore scopre «un sens très-subtil» nel dramma creato dalla sua distrazione. 216
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