Il piccolo Hans - anno X - n. 40 - ottobre-dicembre 1983

porre i suoi buoni uffici e la sua autorità per sedare tanto tumulto: e invece si sbracciava ad esacerbarlo, incurante degli insegnamenti del Vangelo e del progressivo rammollimento cui le parti inamidate della persona venivan soffrendo. Il lavorio dell'attenzione intorno ai limiti della rappre­ sentazione, e l'immaginazione a partire dallo spettacolo sono le due sponde estreme entro le quali si muove il lavoro dello spettatore a teatro. Nell'intreccio di Gadda queste due forze protagoniste, come due za _ nni da com­ media, approfittano l'una degli errori dell'altra, si ingan­ nano e si aiutano a vicenda. Ed ecco come termina il racconto: I signori e gli psicopompi, un cartoncino alla mano, si accalcarono e gomitarono come plebei per riavere la pelliccia al più presto. Il generale dei pompieri (che ha un elmo con un pennacchio speciale) ragunò i suoi otto e, arringatili, tutti insieme si av­ viarono per andare a nanna; in ciò imitati da un inappuntabile drappello di carabinieri bergamaschi. Fortunatamente non si era avvertito, in tutta la meravigliosa serata, il benché minimo odore di bruciaticcio. Alla fine, dunque, Gadda insinua il sospetto d'essersi costruito, come spettatore autarchico, lo spettacolo d'un incendio (indicato come possibile dal pompiere che fece capolino all'inizio) che malgrado la grande confusione non è scoppiato. L'incendio del teatro - un topos letterario - è sfiorato e nullificato. Ma lo spettacolo dello spettatore solitario è più complesso: la minaccia non è l'incendio. Non siamo a Sodoma e Gomorra: siamo a Babele («quella sera la più colta società babilonese s'era data convegno al Ponchielli»). Il tema della confusione dei linguaggi, del miscuglio di cui il teatro diventa una rappresentazio­ ne, percorre il centro del racconto: Gadda assiste allo spettacolo d'una Babele che celebra la catastrofe dei lin- 215

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=