Il piccolo Hans - anno X - n. 40 - ottobre-dicembre 1983

Se la v1s10ne proietta lo spettacolo nel futuro, lo vede quale lo vorrebbe, lo libera quasi dalla prigionia dell'ef­ fimero, la svista scivola via, deborda per un lapsus, lascia che gli accidenti divengano sostanza. La visione concerne il cuore dello spettacolo. La svista i suoi confini, le sue circostanze. È per questo suo carat­ tere surrettizio e veniale che ci interessa. Prendiamo come punto di partenza un testo grottesco (o apparentemente grottesco) di Carlo Emilio Gadda: Tea­ tro, pubblicato nel 1931 ne La Madonna dei filosofi. Il racconto sembra procedere sviluppando un'immagi­ ne letteraria quasi abusata: la fittizia ingenuità di uno spettatore còlto dal dubbio retorico sulla verosimiglianza di quànto accade nello spettacolo teatrale. La parodia, come viene giustamente notato, non è parodia del teatro, ma del «rituale» teatrale, cioè dell'accordo fra spettatori e spettacolo. Così come i moralisti barocchi proponevano di osservare un ballo facendo sparire la musica per con­ templarne tutto l'orrore, Gadda osserva il teatro come se l'accordo spettatori-spettacolo fosse sprofondato nel nulla. Si ricordi l'ineguagliato inizio: Rimasi al buio. Non vidi più Giuseppina, né i Biassoni, né i Pizzogoni, né il grand'ufficiale Pesciatelli. In preda a un leggero batticuore, mi chiedevo che stesse accadendo, allorché apparvero delle rocce, percorse da un fre­ mito: si gonfiavano come la vela toccata dal marezzo: come per bonaccia si afflosciavano. Qualche metro più in là il cielo dell'alba, con lo zaffiro richiesto dal caso: da un lato aveva assunto un aspetto lievemente verdastro in seguito a una ri­ parazione. Da dietro le rocce sbucarono, suscitando la curiosità generale, un uomo corpulento e una donna assai pingue, stretta per · altro nella ritenutezza d'un robusto fasciame cosparso di vetruzzi. C'era per aria un vecchio dispiacere. 213

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