Il piccolo Hans - anno X - n. 40 - ottobre-dicembre 1983
non aveva trovato nessuno che gliela potesse insegnare, così si era accontentato di quest'altro strumento. Da alcuni anni Marco non suona più perché suonare gli fa venire in mente «quella ragazza morta». È una storia che Marco racconta spesso e volentieri senza modificare, nella incessante ripetizione, niente del suo racconto. «Un giorno mi trovavo in casa di mia nonna, ero ap pena uscito dal «psichiatrico», c'erano tutti i parenti tra cui la ragazza che mio zio doveva sposare. Lei mi ha guardato in modo strano, in quel momento ho pensato che mi credesse pazzo, ho sentito il canto della civetta, l'ho guardata e ho desiderato che morisse. Qualche giorno dopo la ragazza ha avuto un incidente stradale, una mac china le è venuta addosso ed è morta.» Uno sguardo, quello che nel saggio di Freud sul feti cismo si ferma prima che la scoperta di una differenza questioni la teoria infantile. Un rumore, il canto della natura matrigna portatrice di presagi di morte. Un rumore ha coperto il suono della musica, l'attività che Marco svolge da dilettante. La scena, gli oggetti, i rumori, nella perversione dicevo, si combinano in modo ben diverso che nella nevrosi ed -H carattere di fissità, di ripetizione diventa nodale. Uno sguardo e un rumore delineano lo spazio di una rappresentazione cristallizzata, la scena è sempre la stessa e Marco si trova già là: a casa di sua nonna. Marco non suona più la fisarmonica, ha venduto anche la macchina acquistando al suo posto una moto di grossa cilindrata con la quale non riesce a fermarsi neanche di fronte ai semafori rossi, nemmeno se incontra il vigile. Non può fermarsi perché rischia di incontrare il silenzio, che gli venga a mancare il rumore assordante che copre la voce della natura, non può fare come il personaggio di Beckett di fronte al riconoscimento del nulla. Quando il discorso inciampa brevemente in quelle so spensioni caratteristiche dell'atto di parola, Marco le an- 208
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