Il piccolo Hans - anno X - n. 40 - ottobre-dicembre 1983

è immeditamente seguito da amor, torma è preceduto da tornar, dorma è inseguito da mar. L'effetto è abbastanza ipnotico, ma non sono incantatori già i primi versi del poema: arme, amori, Mori, mare, romano, e poi furo, pas­ sARO; ire, furori, re, re... ? Non credo si possa afferrare molto della voce pasco­ liana senza prudente cratilismo (o neocratilismo, per dire col Genette). L'eterno assillo vi si esprime infatti in una «purezza originale», come afferma Giorgio Agamben in un articolo interessant� apparso su «Alfabeta» (n. 20 del gennaio 1981). Agamben insiste sulla voce (vox in Agosti­ no), intesa come «linguaggio non pregrammaticale, bensì puramente e assolutamente grammaticale, nel senso più stretto e originario della parola: fone engrammatos, vox litterata», «puro voler dire il cui significato è ignoto». Ogni giorno è il «giorno dei morti»: essi chiamano, invitano; basta guardare, ascoltare, sentire. Niente di me­ glio d'una liric.a che scaturisce da un Ho visto per com­ prendere la poetica pascoliana. Vale beninteso anche per Montale: Ho visto il merlo acquaiolo ecc. (Da una torre, in La bufera e altro). Pascoli può allestire una sorta d'orgia visivo-auditiva, una sceneria precisa e insieme fantastica dove le parole in quanto parole potrebbero anche scom­ parire, e sembrano infatti dissolversi nei loro elementi minimi, come per «suddivisione prismatica» (Mallarmé). Così Le rane (Il ritorno a San Mauro, nei Canti di Castel­ vecchio ): 138 Ho visto inondata di rosso la terra dal fior di trifoglio; ho visto nel soffice fosso le siepi di pruni in rigoglio; e i pioppi a mezz'aria man mano distendere un tenero verde lunghesso la via che si perde lontano.

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