Il piccolo Hans - anno X - n. 40 - ottobre-dicembre 1983
scrittura che effettuandosi sotto il segno dell'estraneità e dell'Infinito, si prende il tempo di trasformare la materia delle parole e dei costituenti della lingua - la voce, pre cisamente - allo scopo di renderli manifesti sotto un'altra forma, di risputarli dal più profondo di se stesso. Allo scopo di far esistere le parole in una pura esteriorità, in uno spa�io che non fosse più duplicato, né preceduto da una «interiorità» invisibile, segreta. La poesia mira a un Fuori che non sia la replica di un Dentro. Essa si espelle da se stessa. E ancora: far variare un tema poetico prelevandolo da un contesto straniero, disancorandolo dalla sua lingua d'origine, saturarlo nella sua trasposizione in un'altra lin gua, vuol dire costringere il lettore a reimparare, ogni volta, a leggere, ciò che ha sotto i suo occhi, vuol dire sottomettere il suo orecchio alla potenza dell'inaudito. È portare a termine, su un altro piano, ciò che voleva realizzare il teatro della crudeltà, fornirgli un'altra possi bilità, aprirgli un altro spazio di gioco, quello della lingua spiata, sorpresa, per la sua stessa estraneità. Il momento di Rodez è, in fondo, un completo, radicale cambiamento di piano. Poiché questa pratica rinnovata della poesia - potremmo dire: questa preoccupazione costante delle fon ti - rappresenta agli occhi di Artaud effettivamente ciò che può dar seguito al progetto del teatro della crudeltà. Divenire lettore della poesia, quando non anche tradutto re, esige innanzi tutto che si apprenda ad ascoltarla, che si sia disposti a riconoscere ciò che vi è d'inedito in una voce che proviene da altrove, che procede da un altro tempo. Questa voce bisogna ogni volta prenderla in pa rola, abbandonarsi ai movimenti della sua variazione te matica. Bisogna soprattutto compiere il gesto che essa enuncia, in vista di coglierne la portata singolare, seguire, nel suo proprio dialetto, lo stesso tracciato: bisogna rifar ne, per se stessi, l'operazione. Far passare, insomma, se stessi dall'altro lato dello «specchio» di Lewis Carroll, 104
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