Il piccolo Hans - anno X - n. 38 - aprile-giugno 1983

Compro le scarpe mi vanno strette. Se qualche volta in festa io ballo la mia compagna mi pesta un callo. Monto in vettura muore il cavallo. Vado a Messina viene il tremoto. Se compro un sigaro ci trovo un pelo. E l'accumulazione delle scarogne si conclude con la semplice domanda retorica: «Ma si può essere più disgra­ ziati di Amleto?» Una forma di parodia ancora più sofisticata è quella di Isabella e Beniamino che nel sottotitolo del testo rac­ colto in Ti à piaciato? è definita: Parodia del Grand Gui­ gnol. Come si fa a distruggere la coerenza del Grand Guignol? Inventando una storia dove non esiste un colpo di scena, manca il minimo appiglio a una qualsiasi forma di passionalità, tragicità, controversia; creando due per­ sonaggi così limpidi e poveri di spirito che non può certo capitare loro qualcosa di male, e nemmeno di fastidioso. Mentre la voce resa flautata, tersa di commozione di Pec trolini procede nello snodare la lunga storia dei due su­ per-ingenui che si incontrano si amano si sposano e fanno un bambino, tutto il nitore e la scorrevolezza invece di trionfare, mettono a segno una mancanza: la mancanza del dramma, dell'andamento retorico, dell'azione. Quando finalmente ci si accorge che non succederà niente per davvero, e che lo scherzo è proprio questo di non far succedere niente, la storia volge al termine e l'ultimo so­ spiro finale, «È finita, è finita, è irrimediabilmente finita» (la storia s'intende), quello che è il segno estremo di una compunta commozione, si trasforma nel ghigno di chiu­ sura, ultima battuta strappa-applauso. La degradazione operata nella parodia si rivela in Isabella e Beniamino 41

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