Il piccolo Hans - anno X - n. 37 - gennaio-marzo 1983

toponimo consiste nel trasformare il nome di luogo in un luogo retorico, un luogo «detto», che è in rapporto con la significazione del testo. L'espressione «aller à Angers» è stata oggetto · di molti studi, ai quali rinviamo: L. Foulet, «Romania», t. 68, 1944, p. _ 57; D. Kuhn, La poétique de Fr. Villon, p. 109 e pp. 133-134, n. 4. Cfr. anche J. Dufournet, Recherches sur le Testament de François Villon, Sedes, 1971, voi. I, p. 97 e n. 75. Villon specula su Angiers o Angers per trarne 'il verbo enger o engier nel senso di «generare», «fecon­ dare», «trapiantare»; vedi i dizionari di Godefroy e di Tobler Lom­ matzsch, s.v. enger. 8 Per i diversi significati di vegeo, vigeo, da cui vegetare e vegetus, vedere Ernoul e Meillet, Dict. · Etym. de la Langue latine. Che il vigore sia la qualità essenziale dell'opera poetica ce lo insegna il Laborintus di Evrard l'Allemand. All'inizio delle regole della Grammatica il verbo vegetare è utilizzato per mettere in valore, nel processo dell'invenzione, la forza originaria dell'immaginazione. . Cfr. Farai, Les Arts poétiques, cit., p. 341: Interea vegentans surgit vis Fantasia sedet in prima (v. 119 e 123) Ciò significa che il nome Vegezio, posto in pos1Z1one d'autore (auctor, da augeo, «far sorgere», «far crescere», «aumentare») dà l'impulso a tutta la catena delle metafore agrarie (Anger, fouir, plan­ ter) che sono sottese al progetto di partenza di Villon in vista di un trapianto. Questo motivo della fertilità, ampiamente analizzato nella Poétique de François Villon, cit., di David Kuhn, ci ha permesso di riprendere, in una prospettiva più nettamente legata alla scrittura, fondata sulla lettura ritmica associata al nome di François Villon, le indicazioni, del resto molto ricche e nuove, di questo autore. 9 Il segno monetario ha sempre costituito una metafora privile­ giata della lingua corrente e letteraria. Come scrive Quintiliano a proposito della· lingua: «E. l'uso (consuetudo) il maestro più sicuro del parlare, e bisogna trattare la lingua come una moneta marcata dal conio dello Stato (ut nummo, cui publica forma est)», Lib. I-VI, 3 ° ed., J. Cousin, op. cit., voi. I, pp. 106-107. Ci siamo occupati am­ piamente di questa metafora nel nostro studio Dante et Narcisse ou les faux monnayeurs de l'irriage, in Dante et les mythes, «Révue des études italiennes», Paris, Didier, 1965, pp. 85 e ss. Che il verso possa venir designato nei termini di un nuovo conio (Pragung) di un luogo comune, una sua nuova tempra, è quanto dice Giovenale, che riprova il verso coniato in maniera banale: «Co� munì ferire carmen moneta». Trarre qualcosa dal proprio fondo personale significa, come scrive Seneca, «quaedam ex sua moneta proferre» (cfr. Lebaigue, Dict. Latin-français, s.v. moneta). La meta. fora del coniare è ripresa da Boileau .dell'Epistola X: «Tu che sai da quale conio sono contrassegnati i buoni versi». Non vi è dubbio che tutta l'opera di Villon sia il risultato della coniazione di una nuova moneta. I:Ò. primo luogo perché tutto un 96

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