Il piccolo Hans - anno X - n. 37 - gennaio-marzo 1983

NOTE 1 I testi di Villon sono citati dall'edizione Rychner-Henry, Genève, Droz: Le Testament de Villon, 1974, il Lais e i Poèmes variés, 1977. Per i titoli Lais e Testament ci si può riferire alla nota di Rychner­ Henry nel Commentaire du Testament, Droz, 1974, p. 13. Indichiamo, quando è necessario, queste opere rispettivamente con T, L; P.V. (Poèmes variés). 2 Cfr. Testament, LXXIX: Je sens mon cuer qui s'affoiblist Et plus je ne puis papi:er (v. 785-86). 3 Cfr. l'eccellente analisi di D. Poirion della Belle Dame sans mercy in rapporto all'opera di Villon, in Lectures de la Belle Dame sans mercy, Mélanges Le Gentil, pp. 609-705. • Prigione d'Amore, Prigione di Mehun, Prigione del mondo: è sempre la cattività che fa dire a Villon, in tutta franchezza e con desiderio d'affrancamento: Nous cognoissons que ce monde est prison Aux vertueux franchis d'impacience (P. V., IX, 13-14). 5 Arare e piantare sono metafore utilizzate nella retorica antica e medievale per designare il lavoro della creazione oratoria e poetica. Per esempio, in Quintiliano l'esercizio della scrittura è il mezzo migliore per ottenere un'eloquenza vigorosa (vim dicendi), giacché, dice l'autore: «se la terra arata profondamente è più feconda · per la generazione e la nutrizione delle sementi, il progresso, quando non sia cercato alla superficie, spande i frutti degli studi più gene­ rosamente e li conserva più fedelmente». Ed. Jean Cousin, Le Belles Lettres, Liber X, 3, 2, t: VI. Quanto al verbo «piantare», Evrard l'Allemand utilizza plantare nel Laborintus nel momento in cui fa parlare la filosofia alle sette sorelle (le sette Arti Liberali): «Ciò che voi seminate - ella dice - lo misuro, ciò che voi piantate, lo raccolgo, ciò che voi tesaurizzate, lo conservo nel mio forziere» (Quod seritis meta, quod plantatis col­ ligo, quidquid Thesaurizatis arcula nostra tenet). Ed. Faral, Les Arts poétiques, Paris, Champion, 1962, p. 342, vv. 133-134. 6 Così fuir significa fare opera di fecondazione. Fouir è un ter­ mine che figura anche nella Ballade à Robert d'Estouteville, dove Villon, assumendo il luogo del congiunto per celebrare la sua Dama, evoca il lavoro della penna (quella del poeta, v. 1381-) in una serie di metafore agricole che traducono il lavoro seminale che il poeta esercita sulla lingua: Ne plus ne moins que le vent fait la fume Sy je ne pers pas la graine que je sume En vostre champ quant le fruyt me ressemble, Dieu m'ordonne que le fouysse et fume, Et c'est la fin pourquoy sommes ensemble (P.V., v. 1397-401). 7 Il processo costante, nel Medioevo, di etimologizzazione del 95

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