Il piccolo Hans - anno X - n. 37 - gennaio-marzo 1983

cando sulla somiglianza fonetica de-Ila parola librarye sembra associare alla propria liberazione questo padre rinnegato. Sarà forse per il ricordo della sua dolcezza materna (forse ipocrita come quella della Dame sans Mer­ cy) che Villon sembra voler salvarlo? Non lo sappiamo. Rimane il fatto che il garçon rusé (T. 471) non dimentica mai di. trar vantaggio di tutte le equivoche risorse della lingua, sino a pretendere di riservarsi la gioia dei propri traviamenti. Tale è infatti, si direbbe, il non-detto della supplica perversa che Villon rivolge al padre Guillaume: Sy li requier a genoullon Qu'il m'en laisse toute la joye. Così, tutta la serietà della scena celebrativa in onore del padre adottivo viene distrutta. Investita dal sarcasmo, la figura sbarrata del padre nero non avrà avuto altra funzione se non quella di una favola destinata .a contras­ segnare e a ricondurre la scrittura orfana del poeta verso un altro luogo, un luogo privilegiato, precisamente là dove la figura della madre, che onques lettres ne leuz assume il valore emblematico nella Ballade à la Vierge Mère. Questa Ballade, nella quale il poeta presta la sua V(?Ce alla madre per implorare la joye che il padre avrebbe potuto sottrarre al figlio: La joye avoir me fais, haulte deesse (899) fa ulteriormente progredire le dissoluzioni del «segno ne­ ro», mediante la rifusione delle lettere che compongono il nome d . el padre: Villon. Il procedimento dell'acrostico, dove, per la prima volta il nome Villon si frantuma in ciascuna delle sue lettere, porta a compimento la distruzione dell'antica rinomanza. La cosa che più colpisce è che nell'avvio dei sette versi, il nome Villon, composto di sei lettere, si prolunga nella 80

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