Il piccolo Hans - anno X - n. 37 - gennaio-marzo 1983

è tuttavia privato, si deve osservare che Villon, alludendo alla dite datte inscritta affinizio del Lais, le cancella im­ mediatamente, mediante l'astuto impiego di un parola che raddoppia il senso ovvio: «qui ne mange ni fi gu e ni <latte», con il senso: «non mangia fichi e non mette la · data». E così, sotto il colpo di questa datte equivoca, tutto il tono solenne dell'inizio del Lais si sfascia in questa stro{e con­ clusiva. Ne risulta che la dite datte che avrebbe dovuto rendere il Lais un documento autentico e cronologicamen­ te certo: L'an, quatre cens cinquante six Je, Françoys Villon, escollier... non solo viene soppressa insieme al misero pasto, ma inoltre queste cancellature successive, dalle quali non bi­ sogna escludere l'atto di nominazione legato alla rinoman­ za del padre, finiscono con l'irridere al referente reale, il poeta, insieme affamato e privato di fama (disfamé). Tutto ciò ce>stituisce un eccellente avvertimento per la lettura dell'effetto della data del Testamento. Il tocco · sot­ tile della dite datte lascerebbe infatti intendere - chissà? - che un poeta non è mai databile per la cronologia, a proposito della quaie finge un realismo puntuale, se non per aprire una scrittura che non è databile. È dunque attraverso queste distorsioni di scrittura del- 1' estourdit che il poeta si sforza di rendere più pura la lin gu a a forza di intorbidarne il senso. Rendere sempre più vaga la lingua del canto è il travaglio impossibile che gra\Ta sul poeta Villon, poiché la penna destinata a nettare la lingua ironizzata, pr6stituita, non cessa mai, a sua volta, di sporcare colui che la netta. Come potrà egli mai togliere il «nero» della scrittura, con la penna o con l'escouvillon, che ne è evidentemente la metafora, senza sporcarsi? Scrivere, e sia pure allo scopo di cancellare, · di sbiancare, la lingua, non è possibile, senza che il nero 7i

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