Il piccolo Hans - anno X - n. 37 - gennaio-marzo 1983
volta che si sia sbarazzato il sembiante dell'eredità dalle sue glosse aneddotiche sul preteso padre adottivo, che cosa rimane se non l'astuto giro di una scrittura il cui gioco consisterà nel porre sotto il segno della cancellazio ne questo fantasma paterno senza tuttavia cancellarne il nome? E infatti, sbarazzarsi di questo padre adottivo e del bruyt del suo nome, significa fare in modo che il nome di Villon che non c appartiene direttamente al poeta, gli venga restituito per risuonare non più «in onore del padre», ma della lingua, la sola che è in grado di legit timare il nome e la ri-nomanza di Villon: Je laisse, de par Dieu, mon bruyt A maistre Guillaume Villon Qui en l'onneur de son nom bruyt, Mes tentes et mon pavillon (L. 69-72). Tutta questa ecolalia circolare, che si appoggia sulle rime bruyt/bruyt ,- Villon/pavillon, trasforma in un puro effetto di omofonia l'ibrida coincidenza della rinomanza del padre e del figlio, e in pari tempo, attraverso il gioco di parole Villon/pa(s)Villon, cancella nel nome del figlio l'esistenza del nome del padre, per sottolineare la loro differenza. Con il gioco di prestigio di questa negazione il poeta libera, dall'ingombrante eredità patema, il nome di Villon, per restituirlo alla pura sonorità del pas [non, ma anche passo. N.d.T.] ritmico. Siamo di fronte a un bell'esempio dell'astuzia di . scrit tura esercitata da Villon con arte ancora più sorprendente nel Testamento: scrittura della aequalitas il cui processo liberatore è costantemente esercitato dal verbo lasciare. Questo verbo, che regge tutta l'economia dell'autodestina zione dell'introvabile messaggio dell'opera, oltre al signi ficato di «abbandonare», «lasciare in eredità», «liberare», «rifiutare», rinvia, con il suo sostantivo, non solo alla gabbia della lassa con le sue assonanze, ma al laccio 69
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