Il piccolo Hans - anno X - n. 37 - gennaio-marzo 1983

noi non sapremmo ammettere alcuna nozione logica se non in quanto necessaria, non è niente. La verità, ricomin­ ciamo da capo, è certo inseparabile dagli effetti di linguag­ gio presi come tali. Nessuna verità certo potrebbe loca­ lizzarsi che a partire dal campo in cui si enuncia, in cui si enuncia come . può : è dunque vero che non c'è vero senza falso, almeno nel suo principio. Questo è vero. Ma che non ci sia vero senza falso, chiedo scusa, che non ci sia falso senza vero, questo è falso. Voglio dire · che il vero non si trova che fuori da ogni proposizione. Dire che la verità è inseparabile dagli affetti di linguaggio presi come tali è includervi l'inconscio. Avanzare per contro, come ricordavo la volta scorsa, che l'inconscio è la con­ dizione del linguaggio, assume qui il suo senso di volere che del linguaggio si renda garante un senso assoluto e, come l'ha inscritto una volta uno degli autori dello studio sull'inconscio sottointitolato Uno studio psicoanalitico, va messa sotto una barra, daltronde arbitrariamente trattata rispetto all'uso che ne faccio io, la sovrapposizione a un S di una barra su di lui, designazione di un significante il cui senso sarebbe assoluto. Dove si indica, facilissimo da riconoscere, perché non c'è che un significante che possa rispondere a questo posto, e questo è l'io Ue), l'io in quanto è trascendentale, ma insieme anche illusorio. È questa l'operazione-radice, ultima, quella appunto con cui si assicura irriducibilmente - ed è ciò che mostra che non è un caso - quel che io designo dell'articolazione del discorso universitario. L'io trascendentale è quello di chiunque che nell'enunciare un sapere in un certo modo celi come verità 1'S1, l'io del Maitre. L'io identico a se stesso è precisamente quello con cui si costituisce 1'S1 dell'imperativo puro, quello, cioè, in cui l'io si sottrae, visto che l'imperativo è in seconda persona. Ma il mito dell'io ideale; dell'io che domina, dell'io tramite cui alme­ no qualcosa è identico a se stesso, e cioè l'enunciatore, è appunto quel che il discorso universitario non può e- 49

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