Il piccolo Hans - anno X - n. 37 - gennaio-marzo 1983
D. Ma nella poesia non la perdi... W- L'ho scritto nell'ode che ho lasciato a metà quando ci siamo messi in viaggio per andare a trovare Mary, il mese scorso: «le cose che ho visto non riesco più a ve derle»... Il mio io si spegne, nel buio diventa un fascio di suoni, un io estraneo, che a stento riconosco, e del quale inseguo desideroso le tracce per il cammino incerto e periglioso: dall'oggetto, alla parola! · D. L'ode hai smesso di scriverla quando è arrivato il letame, e hai cominciato a lavorare nell'orto. Sembravi fin troppo felice di liberarti dell'Immortalità per dedicarti al letame! W. Sei stata tu ad insegnarmi a coltivare le piante, a farmele amare. A Racedown, all'inizio, ero spaventato dal tuo progetto di vivere dei prodotti del nostro orto; piantavamo cavoli dalla mattina alla sera, e non ricordo più a chi scrissi che, come una divinità ovidiana, mi sarei presto trasformato in cavofo. Di pura essenza di carote mi volevi nutrire, tanto eravamo poveri. D. Sì. W. Ma poi, dopo un anno di attesa, quel 1796 nel quale non sono riuscito a scrivere niente di buono, fui felice quando m'accorsi che la terra dava frutto, e noi raccoglievamo quello che avevamo seminato e piantato. Fu allora che cominciai a progettare nuovi lavori, insieme a Coleridge. D. Diventamm9 amici. W. Ora, niente mi piace quanto lavorare nel nostro giardino, studiare ogni filo d'erba, ogni fiore; avvicinare 102
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