Il piccolo Hans - anno IX - n. 36 - ottobre-dicembre 1982

Come può esser ch'io non sia più mio? O Dio, o Dio, o Dio, chi m'ha tolto a me stesso, c'a me fusse più presso o più di me potessi che poss'io? O Dio, o Dio, o Dio, come mi passa el core chi non par che mi tocchi? Che cosa è questo, Amore, c'al core entra per gli occhi, per poco spazio dentro par che cresca? E s'avvien che trabocchi? Il grido, che introduce una replica di interrogazioni, intervallate dall'invocazione religiosa, conserva per tutto il madrigale un registro di voce solenne, che deve dare allo smarrimento il timbro della meraviglia e della ine– splicabilità. Ma l'ultimo verso, riprendendo Petrarca («A– vèn che 'n pianto o in lamentar trabocchi»), porta lo smar– rimento d'amore verso l'ombra della morte: morte come impossibilità di sostenere la crescita di amore. Il tema della sparizione, della perdita di sé, figura classica della dottrina platonica dell'amore, è variato secondo il modo religioso che attribuisce a un dio dolcissimo e possente l'opera di svuotamento, di cancellazione di tutti i sensi, perché nel deserto possa trionfare l'unico senso: Leopardi raccoglierà il tema nel Pensiero dominante, sciogliendolo nel ritmo aperto d'una sacra conversazione tra il soggetto lirico e il pensiero. Lo smarrimento di sé per l'invasione di dio è l'altro terminale dei passaggi del Comento fici– niano al Simposio, dove si discorre del «trasferimento dell'amante nella persona amata» («...e meritatamente. Perché in questo atto egli appetisce, e sforzasi di uomo farsi Dio»), e della morte d'amore («Muore amando qua– lunque ama: perché il suo pensiero dimenticando sé, nella persona amata si rivolge. Se egli non pensa di sé, certa– mente non pensa in sé: e però tale animo non adopera 73

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