Il piccolo Hans - anno IX - n. 36 - ottobre-dicembre 1982
nella narrazione amorosa e nella testimonianza su alcuni interni maestosi del lavoro artistico. Insomma struttura portante di ogni edificio esegetico - oltre che citazione d'obbligo per ogni evocazione eroica e monumentale -, sarebbero rimasti da una parte i versi della Notte, sia quelli in risposta ai versi di Giovanni Strozzi («Caro m'è 'l sonno, e più l'esser di sasso») sia quelli del sonetto «O notte, o dolce tempo, benché nero», con quell'«ombra del morir» che porta il poeta nel cuore del meditare ro– mantico; dall'altra il sonetto che il Varchi prese ad argo– mento per una lezione all'Accademia fiorentina: «Non ha l'ottimo artista alcun concetto / c'un marmo solo in sé non circoscriva / col suo superchio, e solo a quello arriva / la man che ubbidisce all'intelletto». Al di. fuori di questa convenzione alcune ricorrenze spingono, chi s'accosti alla poesia di Michelangelo, lungo sentieri obbligati: il logoramento, e persino ribaltamento del modello petrarchesco, l'inserzione di registri espressivi danteschi, le trasgressioni linguistiche proprie del parlar basso, le forme di adesione al platonismo dei ficiniani 3 • Ma una produttiva trascuranza della questione lette– raria, del «caso Michelangelo», in quella cultura di esteti e romantici che sopra si indicava secondo un amplissimo modo di esegesi europea, volge l'attenzione su una lingua poetica intesa come specchio d'anima, peripezia interiore, discorso amoroso, materia con la quale il soggetto dell'ar– tista lavora le proprie molteplici immagini, e le osserva con rabbia e pietà, con tensione d'affetto e consapevole vanitas, con gridato furore e con tristezza d'angelo. Walter Pater sceglie come impresa del suo saggio sulla poesia di Michelangelo l'ex forti dulcedo che era l'impresa di alcune antiche famiglie, tratta dal leone di Sansone del libro dei Giudici, a sottolineare, in forma ossimorica, la commistione di vigori di stile e di parlar dolce, e tutto quel che in emblema dice quel verso «La mia allegrezza e la malinconia» che, per Croce è soltanto una stravagante 68
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