Il piccolo Hans - anno IX - n. 36 - ottobre-dicembre 1982
definita nelle sue linee determinanti solo a posteriori. Per dirla meglio: il suo senso non potrà essere trasmesso, organizzato in un sapere trasmissibile. «Dispero» (è il nar– ratore che parla) «di potere dare al lettore un concetto chiaro delle meraviglie che il mio amico realizzò. Mi pia– cerebbe descriverle ma sono scoraggiato dalla difficoltà della descrizione ...». Quanto tale disperazione sia radicale, bisogna arrivare al termine del racconto per misurarlo. Ma che si operi avendo come oggetto qualche cosa che non è suscettibile di trasmissione ad altri, che dunque non sia né una scienza né una techne, neppure un sapere - sembra mettere a fuoco una definizione meno vulgata di «dilettantismo». Educare, governare, psicoanalizzare, tre impossibili, non sono anche proiezioni del dilettante, in quanto egli spogli i rivestimenti posticci, e casuali, della superficialità, dell'approssimazione, della infermità tecnica? Se si faccia reagire, come catalizzatore, una categoria di questo gene– re, si può costruire, di fronte alla figura dello «scrittore», che presuppone un esercizio legalizzato, sistematizzato, localizzabile e dunque trasmissibile, della scrittura, la fi– gura dello «scripteur» (che assumo, beninteso, in un si– gnificato ben diverso da quello usato da Barthes, e ripreso da Stefano Agosti ...). Ma l'eredità per definizione, si trasmette; e anche il linguaggio è un'eredità. Fra il dire e il fare, stavolta nel Dominio c'è un fiume, che è pur sempre una via d'acqua, e dunque indica il movimento, un vettore. Il racconto (Vittorini aveva suggerito, per questo testo e alcuni altri, il rimando alla categoria delle «operette morali») risulta ripartito in due tempi: della progettazione e dell'attuazione, della teoria e del pragma. A collegare questi due tempi è la fase diegetica, che come già ho detto assume la forma del viaggio di avvicinamento a 59
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