Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982
Le cose di Ariel Sylvia Plath e l'esperienza I surrealisti da una parte, e T.S. Eliot dall'altra hanno ampiamente teorizzato il rapporto della loro poesia con gli oggetti: si sono occupati di come questo rapporto fun ziona in particolari momenti storici. L'interesse della que stione non si limita ai loro discorsi, o· alla lettura della loro opera. Si può pensare a come questo rapporto corra fino al testo poetico a noi contemporaneo e come, piglian dolo in considerazione, si possano trovare elementi utili per leggere altri testi, e per fare osservazioni di carattere generale. Da questo punto di vista Baudelaire, Eliot o Montale rivelano, ciascuno, qualcosa di essenziale: in un lavoro precedente ho studiato in questi autori la situazione del l'oggetto «fotografico», la sua piattezza, la sua impossibi lità a esibirsi come ricordo, frutto di memoria ed espe rienza. Ora voglio avvicinare un testo fortemente tessuto di oggetti che ricoprono uno spazio importante per la comprensione di tutta l'opera: penso in particolare ad Ariel di Silvia Plath, intorno a cui possiamo anche vedere una costellazione più ampia: da Philip Larkin, contempo raneo della Plath, ancora a Eliot, poi Emily Dickinson e John Donne. Nel lavoro precedente su «la fotografia piatta come ultima allegoria», ero partito dall'esperienza dello choc 95
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