Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982

lo story-teller, ricorda la memoria epica delle origini: il sempre-uguale ripresentarsi della mora! presence di ciò che è trascorso. Significato e vita, l'essenziale e il tempo­ rale, non si divaricano - al modo in cui succede nel nove! - in Hawthorne: in lui tutto è simbolico. La «virtù» di Hawthorne la sua «local quality», secondo James, è pre­ cisamente in questo radicamento, che nel suo racconto continua a vivere, tra narrazione ed esperienza. Dove per esperienza si intenda quel miracoloso coincidere di uni­ versale e di caratteristico nella concisione di una storia, che si fa paradigma esemplare di una esperienza che non sarà vissuta - e dunque non troverà la propria verità nella misura del reale: non nuova, ma eternamente ripe­ tibile: non originale, ma ermeticamente chiusa nel suo spazio d'origine, ovvero nell'apoditticità del suo essere esclusivamente racconto. Che si potrà solo narrare. Né vivere, né dimostrare: indifferente ai tempi e ai modi della realtà. Eredità melanconica di uno sguardo volto all'origine: che in quella origine ha scorto l'unità della vita, impronunciabile se non nei modi presenziali dell'il­ lustrazione simbolica: questo è Hawthorne, lo story-teller, per James. Abbandonandosi alla musa e alle favole, James - par­ tito dall'America per scrivere il nove! - si accorge già in The American, ma sarà così soprattutto negli ultimi gran­ di suoi romances, di essere affascinato dal romantico Haw­ thorne: e, avendo tagliato il cavo del pallone, di essere tornato anche lui ai modi di una narrazione irrealistica, nella precipitazione ingenua verso quell'incantesimo libe­ ratore che è proprio della creazione, e della creatura ro­ mantica. Nadia Fusini 93

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