Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982
Vi sono state molte definizioni del «romantico» come di qual cosa d'inevitabilmente connesso con navi, carovane o tigri, «personaggi storici», o fantasmi, falsificatori o poliziotti, donne belle e perverse, pistole e coltelli, ma nella maggior parte dei casi esse si possono ridurre all'idea dell'accettazione del pe ricolo o di grandi rischi per il fascino o addirittura l'amore, della loro incertezza, per la gioia del successo, se possibile, o, in ogni caso, della battaglia... (p. 32) Ma neppure questo basta: la domanda di James si fa sempre più stringente fino a implicare una messa in questione del reale: Il reale rappresenta per me le cose che noi non possiamo non sapere, presto o tardi, in un modo o nell'altro, giacché è solo uno degli accidenti del nostro stato imperfetto... Il roman tico, d'altro canto, indica le cose che, con tutte le facilitazioni del mondo, tutta la ricchezza, e tutto il coraggio, l'ingegno e lo spirito d'avventura, noi non potremo mai sapere direttamen te: le cose che ci possono raggiungere solo attraverso la bella perifrasi e il sotterfugio del nostro pensiero e del nostro de siderio (p. 32). Muovendo così sempre più verso il cuore del suo con cetto, James arriva a definire il romantico non come u n'esperienza, ma una modalità dell'esperienza: Il solo attributo generale del romance che io riesca a vedere, il solo che si adatta a tutti i suoi casi, è quello del genere di esperienza con cui esso ha a che fare - esperienza liberata, per così dire: esperienza disimpegnata districata alleviata, e sente dalle condizioni che siamo soliti attribuirle e, se vogliamo esprimerci in questo modo, di cui siamo soliti caricarla; espe rienza operante in uno strumento che, per un interesse parti colare, la libera del fastidio di uno stato «in rapporto» e mi surabile, uno stato soggetto a tutte le nostre comuni volgarità (p. 32-33). Questo è dunque il «tenore» esperienziale del romance: 90
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