Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982

di un'altra Marguerite, quella dell'Heptamèron. Non è in­ vano che reincontro qui questa eponimia. È che mi sembra naturale riconoscere in Marguerite Duras quella carità severa e militante che anima le storie di Marguerite d'Angoulème, quando si riesce a leggerle ripulite da alcuni pregiudizi che il tipo di istruzione che riceviamo ha per fine espresso di far sorgere come scher­ mo in rapporto alla verità. Da cui l'idea di una storia «galante». Lucien Febvre ha tentato in un'opera magistrale di denunciarne l'ingan­ no. E mi fermo al fatto che Marguerite Duras mi testimo­ nia aver ricevuto dai suoi lettori un consenso che l'ha colpita, unanime nel portare su questa strana forma d'a­ more: quella che il personaggio di cui ho fatto notare che copre la funzione non del narratore ma del soggetto, porta in offerta a Lol, terza, ma lontana dall'essere terza esclusa. Me ne rallegro come di una prova che la serietà man­ tenga ancora qualche diritto ad esistere dopo quattro se­ coli di scimmiottature che si sono applicate a girare su un conto di finzione - tramite il romanzo - la convenzione tecnica dell'amor cortese, e a mascherare così il deficit della promiscuità matrimoniale, che questa convenzione adorna. E lo stile che voi spiegate, Marguerite Duras, attraverso il vostro Heptamèron avrebbe forse facilitato le aperture con cui il grande storico che ho citato sopra si sforza di comprendere l'una o l'altra di quelle vicende che egli prende per quello che ci vengono date: per delle storie vere. Tante considerazioni sociologiche che si rapportano alle variazioni da un tempo all'altro del male di vivere, sono di poco conto rispetto alla relazione di struttura che, per essere dell'Altro, il desiderio sostiene con l'oggetto che lo causa. 60

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