Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982

Ed è perché il «penso» di Jacques Hold finisce per assil­ larla troppo da vicino, verso la fine del romanzo, per la strada sulla quale egli l'accompagna in un pellegrinaggio al luogo dell'evento, che Lol diventa pazza. Fatto di cui la vicenda porta segni certi, ma di cui intendo qui attestare che lo so da Marguerite Duras. Perché l'ultima frase del romanzo - che riporta Lol nel campo di segale - mi sembra proporre una fine meno decisiva di quella che abbiamo indicato. Dove si lascia indovinare la messa in guardia contro il patetico della comprensione. Essere compresa non conviene a Lol: che nessuno può salvare dal rapimento. Più superfluo resta il mio commento di ciò che fa Marguerite Duras dando esistenza di discorso alla sua creatura. Poiché il pensiero con cui le restituirei il suo sapere, non rischia di ingombrare con la coscienza di essere in un oggetto, dal momento che questo oggetto, lei l'ha già recuperato con la sua arte. Là sta il senso di quella sublimazione di cui gli psi­ coanalisti sono ancora storditi perché trasmettendo loro il termine Freud è rimasto a bocca cucita. Avvertendoli soltanto che la soddisfazione che essa comporta non è affatto da prendersi per illusoria. Probabilmente non è stato un parlare abbastanza forte, dal momento che - grazie a loro - la gente· oggi resta persuasa del contrario. Dovendo addirittura ringraziarli se non arrivano a professare la convinzione che la subli­ mazione si misura sul numero di esemplari venduti dallo scrittore. Di fatto qui sfociamo nell'etica della psicoanalisi, la cui introduzione nel mio seminario fu linea di separazione netta per i fragili assi del suo pavimento. Nondimeno davanti a tutti ho confessato un giorno di aver tenuto tutto l'anno la mano, stretta sull'invisibile, 59

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