Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982
piato? o piuttosto che uno di noi due è passato attraverso l'altro, e allora chi - lei o noi - s'è lasciato attraversare? Dove si vede chiaro che la cifra è da annodarsi in altro modo: poiché per coglierla bisogna contar-si tre. Leggete piuttosto. La scena di cui l'intero romanzo non è che la rime morizzazione sta proprio nel rapimento di due in una danza che li salda, e questo sotto gli occhi di Lol, terza, in mezzo a quel ballo, a subirvi il rapimento del fidanzato da una che non ha dovuto altro che apparire, improvvisa. E per toccare a fondo ciò che Lol cerca da quel mo mento in poi, ci viene forse giusto farle dire un «io mi duo-lgo», se vogliamo coniugare così il verbo dolersi? Ma - a ragione - Lol non può dire di soffrire. Si potrebbe pensare - a seguire un cliché - che ella solo ripeta l'evento. Ma guardiamoci più dentro. È grossolano riconoscerlo, l'evento, in quel tenere sotto guardia una coppia di amanti - vi tornerà ormai sovente - in cui non a caso Lol ritroverà l'amica che le era stata vicina prima del dramma e che assistette alla sua ora: Tatiana. Non è l'evento ma un nodo che si riforma in ciò. È quello che il nodo racchiude che effettivamente rapisce, ma là ancora, rapisce chi? Il meno che si possa dire è che la storia pone qualcuno in sospeso - l'altro partner della coppia - e certo non solo perché Marguerite Duras lo fa voce del raccontare. Il suo nome, Jacques Hold. Poiché neppure lui è quello che può sembrare quando lo diciamo voce del raccontare. Piuttosto ne è l'angoscia. Da cui un'ambiguità che ritorna: l'angoscia sua o quella del raccontare? In ogni caso egli non fa certo la parte del presentatore della macchina, piuttosto ne è una molla, non del tutto consapevole di ciò da cui è preso. Ciò rende legittimo che io introduca qui Marguerite 54
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