Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982

ghi in disuso, bosco o foresta degli assassini, temibili mari che separano continenti e amanti. «Nostro amore, nostra madre», invocano i fratelli, perché sguardo e voce della madre sono qui nutrimento, mediazione, legittima­ zione dell'amore (l'ampolla alchemica che nel Regno Mil­ lenario unisce le coppie come in un grembo sublimato fino alla trasparenza?). Agatha parte dunque, o partirà domani, cambierà no­ me, continente, esistenza. Le sue peregrinazioni potrebbe­ ro essere una serie di reincarnazioni; sotto le spoglie di Aurelia Steiner l'ebrea del lager, di Anne-Marie Stretter la fatale ambasciatrice, Claire l'assassina di Cahors, o Lol V. Stein la smemorata: tutte figure spostate, erranti, «di­ strutte» da un volto centrale. Rispetto a loro, Agatha ap­ pare come una vita anteriore, una figura primordiale la cui energia, nel suo tramandarsi nelle altre, perde quota, scende dalla mitologia (privata, discreta) alla patologia. Agatha è portatrice di sapere e di croce. Ma le altre fanno fatica a ricordare la sua passione. D'altronde, la «capacità» di Agatha non ha niente a che fare con la sua costruzione di un soggetto, con la Bildung dell'eroe: la sua «capacità» o capienza è piuttosto legata alla conservazione; all'accogliere e vivificare il mi­ stero, o non-senso, del destino. Agatha è un principio, perciò non sorprende che possa affrontare la distanza e la morte «senza il pericolo di morire», che sia, secondo il fratello, «immortale». Quella di Agatha è tuttavia una posizione parlante, anche se non si tratta di una parola del logos - che lei ha riconosciuto e delegato al fratello quando, rinunciando a suonare il pianoforte, «gli ha fatto dono della musica, per sempre». Il linguaggio attribuito da Marguerite Duras ad Agatha si sviluppa per contiguità con il corpo, tra stimmate roventi e ragioni sfocate dall'oblio. Si forma poco a poco un grande corpo caldo e melmoso, pieno 50

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=