Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982

dalle stimmate più dolenti del corpo, dai segmenti pm regressivi del vocabolario affettivo («Agatha, Agatha, mia sorella, mio amore»), dagli squarci più verdi del verde paradiso. L'immobilità della coppia è un'ostentata prepa­ razione all'oblio, un far il vuoto per poter imbattersi nella memoria. La coppia è, rispetto alla memoria, maniacale e «negligente» («nostra madre ci aveva insegnato a man­ tenerci in quella meravigliosa negligenza di noi stessi»). Non solo gli amanti risalgono così alla scena primordiale del loro amore ma ne riconfermano l'impraticabilità con il leitmotiv della presenza, della distanza che non si di­ spiega mai e rimane presa in un surplace senza risoluzio­ ne. Agatha osa «far fronte alla morte» e se il fratello «la guarda attraverso una difficoltà a vedere, a vederla», lei invece ha compiuto un viaggio rivelatore negli inferi: «è durato qualche secondo, il tempo di vedervi morto accan­ to a me viva». È lei che riesce a sciogliere il «rapimento» inventando la mediazione del dolore: «mi è venuto alla mente che qualcosa d'altro doveva poter accadere tra voi e me. Come un divenire nuovo della storia... Il cambia­ mento non sarebbe partire... Inventare una paura, e rima­ nere nondimeno dentro quest'amore». La forza di Agatha sembra provenirle dalla grande ombra materna. Sull'ec­ cezionale amore dei figli vige la benedizione della madre; ha detto «bambina mia, non ti separare mai da lui, questo fratello che ti do», ha affidato a lui, prima di morire, la chiave della casa dove ora si incontrano ancora una volta. Nel testo, «madre» è tutto ciò che garantisce l'insepa­ rabilità della coppia da lei nata, è la dimora assoluta, la dolcezza assoluta che di volta in volta si chiama mare, curva del fiume, musica, casa della «vacanza», caldo per­ golato dell'estate - tutte Dimore durassiane (persino la cella del campo di concentramento dove Aurelia Steiner partorisce e muore) opposte ai luoghi spalancati - alber- 49

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