Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982

sfigurazione. Mi riferisco soprattutto a quello che chiame­ rei qui la (provocatoria?) corruzione iconografica del mi­ to. Per quanto riguarda la «colpa», è funzionale: rilancia il dolore. Quindi, eletti saranno i corpi già caduti, in cui potrà accendersi il dolore come un godimento. E così torniamo alla funzione del dolore che è di par­ lare: attraverso la mediazione del dolore, in Agatha, il corpo viene al linguaggio, letteralmente, in segni già lin­ guistici ma legati ancora alla pelle - segni dolorosi: po­ tremmo chiamarli tatuaggi o stimmate. Così si può inter­ pretare il «bruciare» avvertito da Agatha, o le stimmate sonore - il primo «grido di godimento e di paura» di Agatha a diciotto anni, che il fratello ripropone nel pre­ sente in grido di agonia. Nella memoria del dolore, nell'inchiostro del traumà, sta tutta la tematica delle eroine di Margherite Duras - Lol, Aurelia, Agatha... In Agatha in particolare, l'incesto sceso nei corpi è forse il marchio necessario all'apparizio­ ne del destino mitico in tutta la sua sacralità? Lol V. Stein non è disponibile alla memoria, non in­ contra il dolore bruciante (la parola-grido) che segnerebbe un confine tra il suo corpo e i corpi della nuova coppia, tra la notte elettrica del ballo e l'alba livida che seguì. Questa sua sospensione rimane «negativa senza impegno», esperienza improduttiva di senso. Di conseguenza si ripete l'avvicinamento. Alla fine del romanzo, davanti allo scher­ mo bianco della finestra illuminata, il suo sguardo è bom­ bardato dalla virtuale scena d'amore; attraversato, si di­ rebbe, senza anticorpi, dai raggi della memoria che non viene mai al senso, finché tutto il suo corpo si arrende a un sonno patologico, un letargo sacro: la sua minuta sagoma rannichiata nel campo di segale, sotto la finestra dell'albergo dei Boschi, potrebbe essere l'allegoria della «memoria immemore». In Agatha invece viene tentata la memoria a partire 48

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