Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982
di conseguenza permette di staccarsene per farne un og getto perduto; e contrariamente a ciò che si crede, non è il piacere a costituire la materia di tale oggetto ma il dolore, solo successivamente trasformato in godimento dal fantasma. Lol non è stata intaccata dall'infinità del dolore». Agatha invece offre un'elaborazione del dolore, suggerisce quasi la funzione del dolore secondo Duras. Ripetiamo che, a differenza di Robert Ml!sil, Duras «gioca» la coniugazione tra l'indivisibilità dei «gemelli» e la loro separazione facendo a meno delle spossessamen to estatico in cui secondo Musi! «l'Io non trattiene niente, nessuna condensazione del possesso di sé, neppure un ricordo». Agatha invece è un'invocazione del corpo, della sua bellezza tattile, della sua gloria adolescenziale, osses sivamente ripetuta fino ad approdare ad uno strano eser cizio spirituale :- «l'ingresso nella camera allucinatoria» dei due «recitanti», immobili contro la finestra invernale. Rivisitando alcune immagini sfuggenti del passato remo to, la memoria, incantata nella «perdita della conoscenza della vita» (o «rapimento»), tocca un punto, o placca, di dolore. La funzione di questo dolore, detto «ogni volta miracoloso» o «adorabile», è molto precisa: senza il do lore, dice Isaia, «la tua felicità sarebbe stata come un fiume e la tua giustizia come le onde del mare» (Duras riprende spesso l'immagine biblica del mare e del fiume nei quali le sue creature non potranno più immergersi ma di cui forse potranno intrawedere frammentarie in quadrature sulla perdita, quando appunto in loro vibrerà il dolore). Nel loro dialogo Agatha e suo fratello toccano il dolore, anzi ne sono toccati. La perdita non produrrebbe il massimo del dolore se fosse solo leggibile nel mito della soror mistica, cioè se non fosse stata impressa, questa perdita, persino nei corpi. Di lì, nel testo durassiano, la situazione di scivolamento o di «caduta». L'amore carnale è parte del mito di tra- 47
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