Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982
loghi e meraviglie ed eventi onirici da una trama che è fuori dello stesso racconto, in un luogo invisibile: ma questa invisibilità traccia una linea di destino senza il peso della colpa e senza lo spaurimento del vuoto. Coglie re dietro le nebbie il sorriso della foresta, che allude a una qualche promessa, è l'offerta di un senso al viaggio, ma questo senso è come perso nei frammenti di azioni: non ragione né telos, non comprensione né messaggio, forse soltanto memoria di un'immagine. Nel libro ci sono alcune cifre di lettura disseminate: l'aprirsi delle labbra al bacio, l'apparizione di lingue straniere ed artificiali, scaglie d'una origine perduta, le oscillazioni maschile-fem minile, la «sapienza d'amore» dispersa e nascosta nel sa pere dell'orrore, la «doppia conoscenza» come ritorno del l'altra immagine e sorgente del narrare, l'alternanza di malinconia e meraviglia come metodo per la ricerca degli uomini spariti nella foresta, il freddo o il Nord come diversione «moderna» dell'esotismo romantico, ma anche come fine della incombenza del mito e del tragico. Ma non è verso la trascrizione di queste cifre in esplorazione critica che il libro mi sospinge, ma verso quella adèsione fantastica che m'ha fatto continuare la lettura fino alla soglia - di allusione e di vuoto - cui introduce l'ultima pagina. Antonio Prete 195
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