Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982

riva dell'adolescenza si raccoglie attorno ad una sola im­ magine, sacralizzata, amata, conosciuta come corpo viven­ te dell'eros, tramite alla esplorazione del vincolo segreto che lega i sensi all'immaginazione: l'immagine della pro­ stituta. Davvero, anche qui, Marie c'est moi. In questa solitudine di corpi e di storie, dove la scoperta dell'ado­ lescente è la massima astrazione dal quotidiano, dal pas­ saggio, dagli uomini, s'intuisce la filigrana d'una città dal colore talmente forte, dalle vie talmente sinuose e intri­ cate a perdizione, dal cielo talmente mosso d'azzurri sfu­ manti nel viola, che cancellare tutto questo per dare libero corso di parola alla passione delle immagini, dell'Imma­ gine, è necessario. Ogni scrittore, per vivere, richiede una cancellazione. La volontà di scrittura qui sa che per di­ stendersi sulla pagina deve abolire la forma seduttiva del paesaggio, e lasciar vivere la forma dei sogni. C'è allora una città interiore nel racconto che slitta continua­ mente in altro: parola che pronuncia l'irrealtà del paesag­ gio, viaggio che si abbandona soltanto ad un esotismo da figurine, eloquenza che si trattiene per non perdersi nella confessione. Già prende corpo il senso dell'aggettivo «flaubertiano». Traducendo, di Gide, La tentative amoureuse ou Le traité du vain désir. Una lingua sospesa tra la «clarté» e l'alone di luce che ha ogni ricordo. Come rendere questa sospensione? Come conservare l'immediatezza del paesag­ gio dalla forma-lettera al racconto al saggio sulla brevità «naturale» del «Bonheur», sul suo nascere e spegnersi come la cenere che il vento disperde? Il primo Gide: come se volesse di colpo unire la tradizione dei trattati sul «bonheur» e la tradizione che rappresenta l'amore come parola d'un paesaggio d'albe e tramonti, di luci mattinali e di notti lunari. Come se volesse liberare l'ar­ cadia di Poussin appunto dell'arcadia, per lasciare solo il profumo, e l'impercettibile trasparire d'un desiderio che 193

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