Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982

giungere nulla, chi è avvolto nello spessore dei veli delle cose stesse («Un regalo di compleanno») non ha scampo, non può che bollare cose con cui ha rapporto, e vederne - senza saperne nulla - altre lontane brillare. Una funzione linguistica particolare rappresenta que­ sta situazione inabitabile della voce «io» e le cose: i deit­ tici, che sembrano fissarle per un attimo inseguendole nel loro movimento. Le cose devono essere mostrate, pre­ sentificate dalla voce «io» perché assumano - per quel soggetto - consistenza almeno momentanea: «These are my fingers, this my baby» (Queste sono le mie dita, questo il mio bambino, «Little fu gu e»). Questi muri, questo letto, queste mani («Tulipani») sono mostrati da un «io» che è esso stesso inconsistente: nel verso successivo, «io non sono. nessuno». Quest'«io» non ha desiderio, non ha richie­ sta nel suo piccolo sorriso di buddha («Paralitico»), col­ pito dal vanificarsi dei suoi correlati casali. Le cose sfug­ gono (gli sfuggono) - solo un attimo fissate da un deittico, bollate in un pacchetto - seguono il loro movimento di stato in stato, di fronte a un ;<io» che passa come un filo da testo a testo, un «io» che vede se stesso accanto alle cose come «piatta buffa ombra di pupazzo ritagliato» (sempre i «Tulipani»). Sfuggendo, le cose producono solo quella luminescen­ za gassosa, quel fulgore interno che indica che sono an­ cora lì, che ci dovrebbero essere, ma nulla di più. Neppure le parole modificano il loro movimento, non c'è nomina­ zione che fissi la cosa, e certo i deittici non hanno quel potere, mentre le stesse strutture dell'enunciazione sono assottigliate verso il limite della pura funzione linguistica, senza però raggiungerne l'astratta funzionalità. Pochissi­ me sono le inserzioni metalinguistiche in Ariel, tuttavia l'ultima poesia si intitola «Parole», «Words»: «Axes / After whose stroke the wood rings» (Accette / Dei loro colpi risuona il bosco). Parole secche e senza guida, nel bosco di cose da mietere. Il lontano brillio delle cose si raddop- 110

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