Il piccolo Hans - anno VIII - n. 32 - ottobre-dicembre 1981

glese e definisce Philo Vance « il personaggio, forse, più pomposo e balordo dell'intera letteratura poliziesca». Ma nel finale de Il grande sonno (1938 ; ed it. Monda­ dori), il primo romanzo della serie di Philip Marlowe, nonostante faccia ancora una volta il suo nome con di­ sprezzo, quasi ripete le sue parole: « Io non sono Sher­ lock Holmes o Philo Vance. Non vado in posti dove è già stata la polizia a raccattare la punta di un pennino rotto per risolvere il problema con il suo aiuto. Non sono i pennini rotti, gli indizi che i questurini si lascia­ no sfuggire, se pure sfugge loro qualcosa. Ma se suc­ cede si tratta di elementi molto più aerei e vaghi, ad esempio il fatto che un uomo come Geiger vi abbia spe­ dito quelle cambiali invitandovi a pagare da gentiluomo. Geiger, un trafficante equivoco, perché ha fatto quel che ha fatto? Per vedere se avevate un punto debole e se c'era modo di ricattarvi». Elementi aerei e vaghi: come l'aspettativa della Let­ tera rubata e gli indizi di Philo Vance. In un altro romanzo della serie di Philo Vance, L'enig­ ma dell'alfiere (Mondadori), l'investigatore è costretto a far slittare il proprio metodo psicologico verso la psico­ patologia: il colpevole infatti è un folle. Tale conclu­ sione è molto comoda per risolvere una storia altrimenti . inspiegabile e ricorda quella di un racconto di Chester­ ton della serie di Padre Brown, l'investigatore che pro­ fessava un'analoga « scienza dell'anima» (ma a forte componente cattolica). Quest'idea anticipa un procedimento molto comune nel poliziesco americano degli anni 'SO (esaurita ormai la vena hard boiled di Hammett e Chandler) : gli indizi compongono un mosaico insensato, e il senso è rista­ bilito con la scoperta che a disseminarli è stato un folle. Il caso poliziesco coincide con un caso clinico. Ma è que- 201

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