Il piccolo Hans - anno VIII - n. 32 - ottobre-dicembre 1981

sio, afferma che si passa da un anello all'altro per dedu­ zione. Prenderei questo termine in senso letterale, a diffe­ renza di Ginzburg, Eco e Sebeok che vorrebbero tra­ durlo con il termine di Peirce abduzione, che designa una inferenza ipotetica e non certa come la deduzione. Ora, senza dubbio le inferenze di cui parla Conan Doyle sono ipotetiche, ma Sherlock Holmes, nel suo delirio positivi­ sta e all'interno della finzione letteraria, molto spesso· le considera certe, e prende il mondo per un sistema for­ male. Si veda il primo capitolo de Il segno dei quattro (1890): Sherlock Holmes dice a Watson: « lei stamani si è recato all'ufficio postale e ha spedito un telegram­ ma», e giustifica tanta certezza rilevando che Watson ha su una scarpa una macchia di terra rossa, di una qua­ lità che si trova soltanto di fronte all'ufficio postale, e che deve aver spedito un telegramma non avendo scrit­ to in giornata nessuna lettera. Già Dupin (Il delitto della Rue Morgue) parlava di « legittime deduzioni», inten­ dendo « dire esplicitamente che quelle deduzioni sono le uniche valide ». Ma il paradigma ben presto entra in crisi, anche a causa dei cosiddetti ladri gentiluomini, tra cui spicca Arsène Lupin (si veda in particolare Arsène Lupin contro Sherlock Sholmes, 1908, ed. italiana Sonzogno). Nulla assicura che gli indizi da cui trarre deduzioni vere siano a loro volta veri. Infatti, come dice François George (La lai et le phénomène, Paris, Bourgois, 1978, pp. 123-25), « le avventure di Arsène Lupin costituiscono una critica della ragione poliziesca, poiché il problema non è sol­ tanto che Lupin non lascia tracce, ma che ne lascia di false. Il furto raggiunge la sua perfezione come ' furto del furto' (Derrida), derubamento della traccia. Al posi­ tivismo sommario che dice: ' I fatti sono i fatti ', Beau­ trelet [ il criminologo che a differenza di Sherlock Hol- 198

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