Il piccolo Hans - anno VIII - n. 32 - ottobre-dicembre 1981
finto / e nel finto si certifica» (1, IV), dunque poco im porta di parlare sorridendo di «io». Ma i nomi contano. I nomi sono come le colonne di un edificio di M.C. Escher - e sono anche in maiuscola (« se vorrà perdonare l'iniziale maiuscola») - che si inseguono quasi in un gioco fugato. Escher finisce s.em pre coll'ingannare: parti da una colonna del frontespizio e sei già indietro sul lato che ti sfugge. Intorno a ques�i nomi lo scritto respira, si muove con le sue scalinate che salgono e scendono sempre, ma contemporaneamen te; il moto abbaglia, paiono perpetue le salite e le di scese: nello specchio magico di Escher il trompe-l'oeil è lì da vedere, ma nella scrittura chi ti rassicura d'aver la creduta e seguita nel suo moto? I nomi: certo Pound e Montale (la visita al poeta?), ma anche più familiari Ecuba e Sigismondo, e poi Schreber e anche Parigi e la mitologia e il fumetto: insomma « per avere la comu nicazione» basta sedersi nel salottino, che non sarà ne cessariamente holmesiano, e ci troveremo la cordialità degli amici, la consonanza delle letture, anche Barthes o il tic linguistico della vicina, e ci diremo: « ma guarda come la vede Gramigna»! Ma poi che cosa vede? Ma se il canale è libero; se l'utente non risponde? E siamo daccapo. Ma tanta sorridente bonomia, ma tanto affettuoso lu brificare il verso non è che un polo, una punta dell'arco voltaico; c'è dall'altra parte un guizzo del senso, una dura insistenza entropica che non lascia nulla di intatto. L'ossimoro immobilizza lo sguardo, lo allontana in una assenza che è, più che vuoto, fuga del senso. « La neve è nera». Oppure « tremanti di desiderio di paura», « a fuoco freddo». Ma è anche la forma estrema del l'adunaton, che acquietato alloggia forme più. domesti che di sorridente rottura. Il senso passa, purché si voglia immaginare un sujet supposé, un lettore d'occasione sin- 187
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