Il piccolo Hans - anno VIII - n. 32 - ottobre-dicembre 1981
na che morde l'uomo nelle sue interiora e che fa di un essere intelligente un'ombra che camm _ ina, un fanta sma ...» (I, 208-209). La vita stessa assume, allora, « un sentore nauseabondo» (I, 261) che emana da un'insen satezza per la quale non ci sono parole o figure (Valéry: « la noia non ha figura»). Tutto si presenta come rovina. O come « effimero»: « l'immenso nuovo che deborda da tutte le parti» (I, 730) si presenta già per _ se stesso come rovina. In questo quadro non c'è nessuna linea di resistenza. Come già Baudelaire, Flaubert percepisce che nemmeno l'abitudi ne ha qui ancora qualche diritto, ma è essa stessa pu trefazione e fine (I, 488). « Dove prendere un punto di appoggio, ammettendo pure che abbiamo una leva? (...) Quello che ci manca è il principio intrinseco delle cose, l'anima, l'idea stessa di soggetto» (I, 627). Siamo in un'età di transizione in cui tutto il reale sembra essere sottoposto a quella sensazione che sarebbe stata descrit ta da Kafka di « un mal di mare in terra ferma»: « La nostra base non è fissa (...). Vedo un passato in rovine e un avvenire in germe, l'uno troppo vecchio, l'altro trop po giovane, tutto è confuso» (I, 679). Ma ben presto anche questo « futuro in germe» si presenterà con gli stessi caratteri del passato che più non possiamo posse dere e del presente che continuamente ci sfugge: « Dan ziamo su un vulcano, sull'abisso, che ha l'aria marce scente di un cesso. Prossimamente la società andrà ad annegarsi nella merda di 19 secoli... L'idea di studiare la situazione mi preoccupa. Ho voglia (...) di stringere tutto questo nelle mie mani ». Descrivere l'indescrivibile, te nere nelle mani, stringere, ciò che sfugge e deborda da tutte le parti. « Ho · la malattia di essere nato con una lingua speciale di cui io solo ho la chiave» (I, 288). Sospeso « tra il doppio abisso di volgarità e di liri smo» (II, 57) Flaubert cerca · di stringere, con la sua « lingua speciale», il caso di Bovary. È stato fin troppo 105
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